Apro gli occhi e una lama di luce penetra nella stanza filtrando tra le tende. Il mio piede nudo, colpito dai raggi del sole, è bollente. Lo ritiro e mi rannicchio sotto le coperte al ripario dal calore, cercando di ricordarmi dove sono. Non ne ho la più pallida idea. C’è stato un lungo periodo della mia vita in cui viaggiavo continuamente in giro per il mondo a sciare, mi svegliavo il mattino in un albergo o in rifugio, o certe volte dentro a un furgone in cui avevo dormito e non sapevo esattamente dove mi trovavo.
Ero circondato da montagne, di solito innevate, inverno o estate che fosse. Sciare era la mia vita e ovunque si potesse fare, ovunque si potesse fare snowboard o telemark o sci-alpinismo, quella era la mia casa. Le camere di albergo cambiavano continuamente ma le montagne erano il mio posto. Anche adesso che non scio più per professione e non sono più sulla neve così tante giornate all’anno come facevo prima, continua a essere così. Le montagne, sono la mia casa.
Appoggiata al muro davanti ai miei occhi c’è una bicicletta da strada lavata e lubrificata, luccicante e perfettamente pulita, pronta per essere usata. Sci nella mia stanza, non ne vedo. Ora ricordo: Bormio. Sono in uno dei luoghi più belli del mondo per sciare ma anche per pedalare, intorno a me montagne bellissime e salite leggendarie da affrontare in bicicletta come quella che porta al Passo Stelvio, o quella del Passo Gavia. Oppure ancora quella del Mortirolo o dei Laghi di Cancano, non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Sparsi sul pavimento i capi di abbigliamento che prima di addormentarmi ieri sera, mentre stavo crollando dal sonno, avevo provato a preparare e a mettere in ordine per rendere più veloci le operazioni di vestizione questa mattina. Che ore sono? Mancano tre minuti alle 7. Mi alzo dal letto e appoggiata al muro, nell’altro lato della stanza, c’è un’altra bicicletta. Ora ricordo: Matteo mi aspetta per le 7 in punto nella sala ristorante dell’hotel, per fare colazione. Niente sci, questa volta. Siamo qui per pedalare insieme per qualche giorno. Il tempo di lavarmi i denti e infilarmi una maglietta e mi fiondo giù dalle scale.
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Matteo vive vicino a me, in provincia di Bergamo ed è un fotografo. Ci conosciamo da tanti anni e ho sempre avuto una sorta di venerazione per il modo in cui svolge il suo lavoro di reporter, cercando di essere dentro l’azione che cerca di raccontare con le immagini e allo stesso tempo fuori dall’inquadratura, dietro l’obiettivo con genuina curiosità e discrezione.
È insieme a lui che pedalerò questa settimana e ci siamo promessi a vicenda prima di venire qui, in cima alla Valtellina, che la nostra sarà prima di tutto un’avventura vera. Niente finzione. Mi ha fatto promettere che avremmo pedalato per tutto il tempo insieme, trasportando con noi tutto il necessario per eliminare l’esigenza di essere assistiti da qualche persona esterna o mezzo di supporto, come spesso accade nei photo-shooting. Il nostro non sarà un photo-shooting ma saranno dei giri in bicicletta per divertirci e per esplorare. Io odio i photo-shooting e fare da modello a qualcuno, mi piace essere me stesso. A Matteo piace fotografare da dentro l’azione, non è stato difficile trovarsi d’accordo.
Primo giorno
Quando dopo colazione mettiamo il naso fuori dall’hotel pronti per la prima giornata in sella, l’aria è frizzante e il cielo blu. Settembre è un mese perfetto per pedalare tra queste montagne, le giornate sono ancora lunghe, non fa eccessivamente freddo, il cielo è terso e i colori della vegetazione hanno già virato verso le infinite tonalità del giallo e del marrone. Il traffico sulle strade è soltanto quello locale, il turisti dell’estate, in particolare motociclisti e automobilisti che battono le strade che anche noi vogliamo percorrere, non ci sono quasi più.
Sin dai primi metri di pedalata – ovviamente in salita - ho subito la sensazione che la colazione a base di torte di frutta e bresaola sia stata un po’ eccessiva ma non me ne preoccupo. Non abbiamo ansia da prestazione o KOM da stabilire, quindi nessun rimpianto: venire in Valtellina e non godere del cibo quando è possibile significherebbe tralasciare metà dell’esperienza. Per questo primo giorno ci dirigiamo verso il Passo Stelvio, sarà la nostra prima salita. Attraversiamo Bormio e ci fermiamo per un altro caffè espresso, è già il terzo della giornata e non sono nemmeno le 9 del mattino. Gli inizi di una pedalata in Italia sono quasi tutti così, un buon espresso al banco non si può mai rifiutare. Anche io sono nato a Bergamo, ai piedi delle Prealpi Orobiche e la neve e la montagna sono state per tutta la mia vita il mio campo di gioco preferito. Arrampicata, alpinismo, sci, scialpinismo, snowboard, monosci, telemark, qualsiasi cosa utile per salire o scendere da una montagna scivolando sulla neve, per me andava bene. La montagna e lo sci sono stati il mio lavoro oltre che la mia passione e per questo tra queste montagne, sui ghiacciai del Passo Stelvio ho passato centinaia di giornate della mia vita allenandomi o allenando sciatori durante la stagione estiva.
Conosco a memoria ogni tornante dello Stelvio, tante sono le volte che l’ho percorsa con ogni mezzo: in auto, in motocicletta e ovviamente in bicicletta. Quando rimanevo per settimane in albergo al Passo Stelvio, durante gli allenamenti sulla neve della stagione estiva, portavo sempre con me la bicicletta con lo scopo di poterla usare nel pomeriggio dopo gli allenamento sugli sci. Allora il ciclismo era il mio secondo sport, un modo per far girare le gambe dopo gli allenamenti del mattino e a dire il vero su queste salite, soltanto una decina di anni fa, non c’erano tutti gli appassionato che ci sono oggi. Una volta queste grandi salite mettevano un po’ soggezione ed erano in pochi a spingersi fino ai 2757 metri del passo salendo in bicicletta.
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Oggi il ciclismo è uno sport di massa ed è diventata anche una delle mie ragioni di esistere. Io e Matteo siamo di ottimo umore, pedalare in salita è un piacere. Chiacchieriamo. Respiro a pieni polmoni e sento arrivare dritto nel cervello, in un luogo in cima alle narici appena dietro la mia fronte, il profumo di erba bagnata e di roccia umida riscaldata dal primo sole. Pedaliamo affiancati senza disturbare il traffico delle automobili e senza venire disturbati. Portato dall’aria ci arriva il suono fragoroso delle Cascate del Braulio, che si trovano circa a metà salita. L’acqua si incanala tra le rocce nella valle e il suono arriva fino a noi. In giro ci sono davvero pochissime auto e motociclette, a condurle sono tutte persone gentili e sorridenti. L’asfalto è perfettamente liscio, le nostre ruote rotolano morbidamente a terra facendoci godere dell’avanzamento. Cosa desiderare di più da una uscita in bicicletta?Una strada è un tratto di spazio ben definito e condiviso che crea collegamento tra i luoghi abitati dall’uomo. E’ uno strumento che consente il passaggio di persone, merci, informazioni, cultura ma può essere immaginato anche come qualcosa di più sofisticato e prezioso. Una strada che conduce a un valico è in fin dei conti, soprattutto, un luogo d’incontro e di scambio, il risultato del pensiero umano che tramite curve e rettilinei, grazie alla razionalità della geometria e dell’ingegneria tenta di individuare una via di passaggio nella natura. Carlo Donegani costruì la strada del Passo Stelvio in tre anni soltanto, tra il 1822 e il 1825. Potremmo definirlo un genio della costruzione stradale, a realizzare l’opera furono centinaia di operai e manovali italiani, si trattò di un’opera gigantesca.
Secondo la visione di Donegani l’architettura e l’ingegneria dovevano adeguarsi alla natura, cercando di vincerne le asperità e gli ostacoli in modo armonioso e definitivo. I tornanti – sul versante valtellinese della salita se ne contano oltre 30 e su quello sud-tirolese ben 48 - non sono una linea di passaggio reperibile in natura ma piuttosto il risultato di un pensiero evoluto. La strada del Passo Stelvio è una vera e propria opera d’arte nella natura. Pedalarci sopra in bicicletta come stiamo facendo ora io e Matteo e come fanno migliaia di ciclisti ogni anno, andando avanti e indietro lungo i versanti per superare il dislivello della salita, è un po’ come recitare una preghiera. Pedalare su una strada a tornanti è un atto di fede.
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Per godere della salita serve abbandonarsi totalmente alla idea che contro ogni razionalità e contro ogni logica tutti quegli avanti-e-indietro, tutti quei tornanti intervallati da rettilinei in salita, sono la via più breve per raggiungere la cima. Forse è proprio questa fede nell’ingegno dell’uomo, il dimenticarsi della logica in favore del sentimento a farci godere mentre pedaliamo in salita. In fondo la bicicletta è una macchina meravigliosa che trasforma lo sforzo fisico in avanzamento e piacere di andare.Quando arriviamo in cima al Passo Stelvio a Matteo non ho ancora svelato quale è il mio piano per il proseguo della giornata. Lascio che si copra con una giacca leggera e che si goda qualche sorso d’acqua fresca dalla borraccia prima di lanciargli la mia proposta con la stessa brutalità con cui si lancia un sasso per aria e poi si sta a guardare dove va a finire. Intorno a noi, oltre al panorama bellissimo delle montagne e dei ghiacciai del gruppo dell’Ortles, sulla strada è una continua processione di ciclisti, motociclisti, guidatori di auto cabriolet. Comunque uno sia arrivato in cima al Passo Stelvio, qualsiasi mezzo abbia utilizzato, a portarlo fin lì è stata la passione. Non c’è una vera e propria utilità o un motivo pratico per valicare il Passo Stelvio, se non la voglia di andare a vedere com’è.
E così è anche per noi e per tutti quelli che abbiamo intorno, tutti lì in cima a guardarli in volto hanno un’ espressione beata e un po’ ebete, non soltanto a causa della fatica e dell’aria sottile ma per la gioia della meta raggiunta. Anche i turisti in automobile e in moto, hanno una faccia beata e un po’ ebete. Butto lì a bruciapelo la mia sassata a Matteo, che nel frattempo sta scattando un po’ di fotografie: vorrei scendere dall’altro versante per poi risalire di nuovo. La salita a partire da Prato allo Stelvio è lunga 26 chilometri e ha una pendenza continuamente crescente, il tratto più duro è la sezione finale, quella che guardando verso giù dal passo ora vediamo salire a tornanti in un nastro d’asfalto.
Tutte queste inerenti la distanza e le pendenze –ovviamente - sono informazioni che mi guardo bene dal precisare a Matteo, che va avanti a scattare indifferente le sue fotografie prima di mettere la sua attrezzatura e prepararsi a scendere. “Pronti” mi dice allegro. Scendiamo, per poi risalire. Saranno ore di godimento puro, una giornata di ciclismo indimenticabile.
Secondo giorno
La mattina del nostro secondo giorno di avventura ciclistica le gambe – bisogna ammetterlo - sono un po’ appannate. In totale ieri con il doppio Stelvio (un classico che non potete perdervi, se passate in zona) abbiamo percorso quasi 3000 metri di dislivello. È mattino presto e stiamo di nuovo pedalando, stiamo percorrendo la Strada Statale 300 del Gavia che a quest’ora è praticamente deserta. Pedaliamo sui lunghi rettilinei in salita verso Santa Caterina Valfurva, poi proseguiremo per il Passo Gavia, un’altra delle salite leggendarie che si possono affrontare facendo campo base a Bormio. Il 5 giugno del 1988 è su questo valico che si disputò una delle più straordinarie tappe di montagna che la mente di un appassionato di ciclismo e di corse ciclistiche possa ricordare.
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Durante il Giro d’Italia, sorpresi da una bufera di neve i corridori, in maglietta e calzoncini soltanto, si ritrovarono con la strada innevata a 2621 metri di quota. La discesa che dovettero affrontare, bagnati fradici e abbigliati con abiti di fortuna, fu un finale di tappa degno delle corse eroiche degli anni ’50 quando il ciclismo ancora, privo delle squadre in grado di tenere la corsa sotto controllo e dell’abbigliamento tecnico in dotazione oggi ai corridori, era una sorta di sport a eliminazione. A vincere fu uno stoico Johan van der Velde che arrivò al traguardo in uno stato fisico prossimo alla ipotermia. A quell’epoca non c’erano ancora i tessuti e i capi di abbigliamento moderni con cui io e Matteo siamo vestiti oggi. Per noi oggi pedalare al freddo quasi autunnale del mattino è soltanto piacere, niente sofferenza. Chi ha detto che il ciclismo sui grandi passi alpini è uno sport da praticare soltanto in piena estate? Anche l’autunno e la primavera, vanno benissimo.
Mentre pedalo in salita, chiuso nei miei pensieri, guardo la bicicletta di Matteo e poi la mia. Mi sembra di non avere mai visto una bicicletta come la sto vedendo adesso, è una specie di epifania. Oggi le biciclette da strada sono diventate più versatili, più solide e massicce pur restando leggere e performanti, in grado di spingersi anche fuoristrada. Con una bici come quella che stiamo utilizzando oggi noi due, vuoi per la generosità dei rapporti a disposizione, vuoi per la solidità del telaio e delle parti in movimento o per la sezione degli pneumatici, si può veramente pedalare ovunque. Il confine tra strada e fuoristrada, è svanito.
È esattamente quello che ho visto succedere nello sci dove attrezzi sempre più performanti e versatili, in grado di destreggiarsi eccellentemente su ogni terreno, hanno sostituito attrezzi iper-specialistici. Ci sono sci moderni che su neve ghiacciata, in neve profonda, su neve dura battuta e perfino in salita per un uso sci-alpinistico, hanno poco da invidiare a quelli che erano i migliori attrezzi specifici in circolazione soltanto pochi anni fa. A pensarci bene quello che è successo alle attrezzature da sci in questi anni, con la nascita e lo sviluppo delle attrezzature pensate per il freeriding è esattamente la stessa cosa che sta accadendo oggi con le biciclette da strada adatte anche al gravel. È cambiato tutto ed è stato, prima di tutto, un vero e proprio cambio di mentalità, un modo diverso di pensare all’attrezzo bici. A essere cambiati, a pensarci bene, siamo noi.
Sono cambiate le nostre aspettative e le nostre abitudini e anche l’uso che facciamo delle cose. Oggi, praticamente in ogni settore, dall’attrezzatura sportiva all’abbigliamento tecnico disponiamo di prodotti in grado di funzionare egregiamente in qualsiasi tipo di situazione. In fondo si tratta di quello che ciascuno di noi nel suo piccolo, come essere umano, come uomo o come donna appassionata di sport all’aria aperta, cerca di fare ogni volta che esce di casa: essere pronto ad affrontare qualsiasi avventura, senza limiti. Accogliere l’incognita è il vero fascino della esplorazione.
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Circa a tre quarti della salita verso il Passo Gavia, poco prima dell’ultima sezione ripida e appena prima di una località chiamata Malga dell’Alpe, alla nostra destra notiamo una strada sterrata che devia verso destra. È una strada che sia io che Matteo abbiamo già notato in altre occasioni percorrendo la strada asfaltata che porta al passo, oggi sembra il giorno giusto per deviare e andare a esplorare. Non sappiamo esattamente dove la strada andrà a finire ma basta uno scambio di sguardi per decidere il cambio di programma.
Alleggeriamo il rapporto di pedalata con un tocco sulle leve del cambio e ci ritroviamo a pedalare su una strada che si inoltra in una valle laterale. Pochi minuti e c’è una malga. Ad accoglierci è Daniele, un ragazzino incuriosito dalle nostre biciclette che nel frattempo abbiamo appoggiato al muro per una piccola pausa. Daniele trascorre l’intera estate all’alpeggio insieme ai genitori Federica e Luca che nel frattempo ci raggiungono.
Spendiamo un po’ di tempo seduti al sole sulla terrazza della loro malga a chiacchierare con loro, ci raccontano della difficoltà ma anche della gioia di una vita in montagna a governare gli animali e a produrre formaggio. In una stalla accanto alla malga che ci portano a vedere c’è la sala di mungitura e una piccola cantina per la conservazione e la stagionatura dei formaggi prodotti durante la stagione. In questi giorni gli animali stanno per scendere di quota e ritornare a valle, quindi oggi niente mungitura.
Assaggiamo vari formaggi e restiamo a chiacchierare un altro po’ con loro. Il fatto che gli animali non siano più all’alpeggio regala loro un po’ di tranquillità in più rispetto al solito, senz’altro c’è decisamente meno lavoro da fare al confronto della piena estate e si respira un’aria da ultimi giorni prima della chiusura. Nei prossimi giorni è prevista e potrebbe arrivare la prima nevicata dell’anno.
Daniele ci confessa di non avere molta voglia di tornare a scuola, che ricomincerà tra qualche giorno e di essere appassionato di bici ma anche di sci, che pratica durante l’inverno. Gli piace scorrazzare libero tra le sue montagne e lavorare con gli animali, sembra un bambino d’altri tempi anche se la mamma Federica, stuzzicandolo, ci garantisce che bastano pochi giorni a casa, in paese a Bormio, per farlo ritornare appassionato di computer e di videogiochi, come tutti i ragazzini della sua età.Mi viene da pensare che anche a me, in modo perfettamente simmetrico, a rimanere alcuni giorni lontano dal computer e dallo smartphone, lontano da internet, dalla città e dal traffico viene voglia di vivere come si vive qui, in montagna, in una malga come questa. Vivere in una casa di pietra e legno che quando esci dalla porta di casa presenta davanti a te soltanto due possibilità, mi sembra più semplice: andando da una parte scendi in paese, verso la gente e verso la civiltà, mentre se sali verso l’alto, verso il passo, vai verso le montagne e verso il silenzio. In fondo qui la vita è dura ma le scelte sono semplici, sai sempre cosa può derivare da ogni decisione presa.
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Se c’è una cosa che il ciclismo mi ha insegnato, è che ogni volta che mi trovo a un bivio e devo decidere da che parte andare, conviene sempre scegliere di affrontare la strada che va in salita. La discesa è più comoda e veloce ma alla fine ti ritrovi in un buco, per scendere sei sempre in tempo. La salita invece è fatica ma è anche speranza, possibilità, giusta ricompensa, fuga. Quello che stiamo facendo con Matteo in questi giorni non è altro che questo: scegliere sempre, in ogni occasione e a ogni bivio davanti a noi, la strada meno battuta. È un lusso che non sempre nelle nostre vite di città riusciamo a concederci.
Terzo giorno
Dopo il Passo Gavia di ieri oggi abbiamo in programma un giro più breve ma non per questo meno interessante: andremo a pedalare ai Laghi di Cancano, in Valdidentro. È una salita più breve delle altre ma bellissima, una di quelle spesso sottovalutate che ti lasciano a bocca aperta quando ci pedali sopra per la prima volta. La salita è lunga 14 chilometri, è esposta a sud ed è un continuo susseguirsi di rettilinei panoramici e tornanti, una ventina in tutto per la precisione.La pendenza è continua e regolare fino ad arrivare alle Torri di Fraele che sono una coppia di baluardi di segnalazione costruite sette secoli fa, alla fine del 1300. Il loro scopo era proteggere l’accesso alla valle che è un vero e proprio gioiello e che oggi conduce a due laghi artificiali contigui, il Lago di S.Giacomo e il Lago di Cancano. Intorno al lago circola una strada sterrata da cui si diramano numerosi sentieri, molti dei quali adatti per pedalare con le biciclette gravel, altri invece più impegnativi che è meglio percorrere con bici da enduro o da cross country.
Io e Matteo dopo la salita sulla strada asfaltata ci gustiamo lo sterrato a bordo lago che rimane sempre scorrevole, resistiamo alla tentazione di scendere verso Livigno in un giro che richiederebbe una intera giornata e che le nostre bici con pneumatici stradali non sarebbero in grado di affrontare. Domani sarà la giornata della Granfondo Stelvio Santini ed è già ora di andare a ritirare il pettorale e di sbrigare tutte le formalità del pre-gara. Anche se non ci sono ambizioni di classifica, è pur sempre una prova impegnativa che va affrontata con rispetto. Certo, la cena a base di pizzoccheri e di sciatt della Valtellina innaffiati da una bottiglia di Sforzato di Valtellina non è esattamente quella che potremmo definire una cena leggera pre-gara, ma come resistere?
Dopo due anni di pandemia, chiunque di noi ha perso la consuetudine con alcune cose che eravamo abituati a considerare normali e a fare frequentemente, non soltanto nel campo del lavoro e delle relazioni ma anche nel divertimento. Mentre al buio del mattino mi preparo per raggiungere la griglia di partenza, mi chiedo quando è stata l’ultima volta che ho partecipato a un evento sportivo di queste dimensioni? In partenza ci sono circa quattromila persone. Gli ultimi due anni sono stati stracolmi di sfide personali, di allenamenti su Zwift, di viaggi ed esplorazioni ciclistiche senza l’assillo del cronometro e delle classifiche. Devo dire che non mi è per niente dispiaciuto. So anche però che l’evento a cui sto per partecipare è una perla rara, qualcosa di speciale e di unico nel panorama delle granfondo a cui vale davvero la pena di partecipare almeno una volta nella vita. Gli eventi come questo, in questo momento particolare sono una celebrazione della gioia e dell’amicizia, della voglia di stare insieme oltre che dei luoghi. In griglia di partenza insieme a me, intorno a me, non vedo agonisti incarogniti e tesi per il via imminente ma gruppi di amici che si sono fissati un obiettivo stagionale per restare motivati e oggi sono qui per celebrare la loro amicizia e l’allenamento svolto durante l’estate.
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Quarto giorno
L’ambiente è allegro e rilassato e quando prendiamo il via, nonostante la leggera discesa e l’eccitazione iniziale, non si vedono scatti o “sparate” folli da parte di nessuno. Tutti hanno soltanto voglia di divertirsi e di godere della bella giornata di sole e del panorama. L’evento prevede tre percorsi: quello corto, il mediofondo e la granfondo che prevede anche la scalata del Mortirolo, una salita che sarei tentato di fare ma che decido di lasciare perdere per godermi con più calma la giornata. Non ho nessuna fretta e nessuna ansia da prestazione per cui dopo la salita di Sondalo, che fa da antipasto, mi concentrerò sui tornanti dello Stelvio su cui ho già pedalato l’altro giorno insieme a Matteo. Ripetere la salita oggi mi regala la strana sensazione di sentirmi a casa su ogni tratto di strada, proprio come mi succedeva quando spendevo la maggior parte delle mie estati in cima al passo per allenarmi con gli sci. Matteo oggi è in sella a una motocicletta e sta facendo il suo lavoro di fotografo. Ogni volta che mi raggiunge o mi sorpassa sul percorso è una buona occasione per scherzare e prenderci in giro. Io oggi sto faticando in mezzo qualche altro migliaio di appassionati e lo Stelvio oggi è bellissimo ma diverso da come ci era apparso l’altro giorno, a tratti deserto e solitario, quasi malinconico. Non so quale delle due versioni preferire. Mentre pedalo e salgo, stimolato ad alzare il ritmo da altri partecipanti alla granfondo penso che in fin dei conti noi ciclisti abbiamo due anime, un da agonista e un’altra da esploratore.
Quello che serve per rinnovare continuamente l’entusiasmo è saper bilanciare bene le due cose. Mentre Matteo mi affianca per l’ennesima volta gli dico che la prossima avventura che faremo insieme sui pedali sarà in posto solitario e lontano, e ci porteremo la tenda. Le notti in tenda, quando viaggi in bici, sono magiche. Lui toglie l’occhio dal mirino e mi risponde che va bene. Poi prima di allontanarsi mi dice di accelerare e di darmi da fare, che comunque ho un dorsale con un numero di gara incollato sulla schiena.
Lo mando allegramente a quel paese, mi alzo sui pedali e rilancio la velocità, accelero e provo a fare del mio meglio. Ci sono un paio di ciclisti davanti a me che provo a mettere nel mirino. Noi ciclisti siamo fatti così, ci piace esplorare, la pace e la tranquillità, ma ci piace anche arrivare a fine giornata e sapere di avere dato tutto. Arriviamo in cima alle salite e siamo da buttare via, ma felici. È quello che a me succede da una vita e siamo in tanti a essere così. Quello che ci piace non è il ciclismo ma l’andare liberi, meglio se in montagna.