Firenze, anno 2013. Campionati del Mondo di ciclismo, categoria U23. Dopo una gara caratterizzata da un paio di fughe di una manciata di corridori, entrambe neutralizzate dal gruppo, all’ultimo giro sul circuito di Fiesole in testa alla corsa ci sono due atleti: il francese Julian Alaphilippe, un ragazzo minuto e guizzante, capace di fare la differenza in salita; e lo sloveno Matej Mohorič, uno spilungone alto e magro di soli diciannove anni già Campione del Mondo Junior l’anno precedente. Mohorič si gioca la maglia iridata con un attacco in discesa al penultimo giro ed è esattamente lì, in quel preciso istante, andando a vincere il campionato mondiale, che nasce ufficialmente la supertuck. Mohorič va in discesa e pedala in testa alla corsa rimanendo semi-sdraiato sulla bici, in una posizione aerodinamica tanto efficace quanto pericolosa, che nessuno aveva mai visto prima.
La supertuck per poco meno di un decennio, messa in atto e portata alla ribalta da corridori come Chris Froome, Vincenzo Nibali, Peter Sagan, Philippe Gilbert solo per citarne alcuni, sarà protagonista nel bene e nel male di vittorie, cadute, grandi spavento e discussioni, fino ad essere definitivamente vietata dall’UCI nel 2021.
Giro d’Italia 2021, tappa numero 16 Castel di Sangro > Rocca di Cambio. La posizione supertuck è appena diventata illegale e Matej Mohorič è all'attacco con un piccolo gruppetto di fuggitivi che hanno appena scavalcato Passo Godi, in Abruzzo. Per primo al GPM è transitato in suo compagno di squadra della Bahrain-Victorious Gino Mäder che indossa la maglia azzurra di miglior scalatore che Matej sta aiutando a difendere. Gino è tre anni più giovane di Matej e a sua volta bravo e coraggioso in discesa, è questa la cosa che accomuna i due, che li rende affini. Gino è scalatore, Matej specialista delle gare di un giorno e delle vittorie di tappa che richiedono intraprendenza, scaltrezza e coraggio in discesa. Ed è proprio in discesa pedalando nella scia di Gino Mäder che Matej Mohorič incappa in un incidente che lo mette ko. In curva, a velocità piena, la ruota davanti della sua bicicletta scivola e si impunta proiettandolo in aria in uno di quegli highside che siamo abituati a vedere nelle gare di MotoGP. Mohorič dopo un frontflip a favore della telecamera che sta sulla moto che lo precede, atterra pesantemente sulla testa e sulla schiena ed è costretto a ritirarsi. La bicicletta di Matej Mohorič è spezzata in due, la sua testa e la sua colonna vertebrale fortunatamente no.
Milano-Sanremo 2021, GPM del Poggio. In cima alla salita scollinano quattro corridori con un leggero vantaggio sul resto del gruppo, tra questi Tadej Pogačar, Wout Van Aert e Mathieu van der Poel. Il vincitore della gara tutti si immaginano uscirà da questo terzetto. È facile prevedere una discesa collettiva e poi una lunga serie di attacchi e contrattacchi per arrivare sul traguardo di Via Roma in una volata, ristretta o di gruppo. Invece dalle retrovie Matej Mohorič, che è scollinato non lontano dai primi, ritorna su di loro e li passa a velocità doppia. Nessuno riesce o ha il coraggio di seguirlo. Con una discesa che rimarrà per sempre nella storia del ciclismo, costruisce il suo capolavoro e va a vincere in solitaria la Classicissima di Primavera. La sua impresa è un susseguirsi di curve in discesa al limite della fisica e dell’aderenza degli pneumatici, ed è favorita dall’utilizzo di un dropper, una sorta di abbassatore per la sella che ha lo scopo di spostare il suo baricentro più vicino al suolo di qualche centimetro.
"Quando ho vinto la Milano-Sanremo tutti hanno parlato principalmente del dropper”, racconta Mohorič in una vecchia intervista. “La possibilità di abbassare la sella che abbiamo studiato con la squadra e con i meccanici è stata una cosa importante, ma quella non è la sola cosa che ho fatto per prepararmi. Sono andato a Sanremo varie volte e ho studiato la discesa del Poggio metro per metro ripetendola un’infinità di volte. È pericoloso, ma è in discesa che uno specialista come me può vincere le corse. È lì che posso fare la differenza ed è a quei momenti della gara in cui si viaggia sulla bici ad altissima velocità, che devo per forza puntare”.
Ieri, Tour de France 2023. Tappa di Moirans-en-Montagne > Poligny. Una frazione adatta sia alle fughe dal lontano che ai velocisti e per questa ragione, combattutissima. Si viaggia a velocità folle, la media finale risulterà essere di 49.13km/h. Una mega fuga di trenta atleti contenente i migliori corridori da gare di un giorno attualmente in circolazione distilla tre nomi che si contenderanno la vittoria finale: Kasper Asgreen, Ben O’Connor e Matej Mohorič. É O’Connor, conscio dei propri limiti in volata, a tentare da lontano e a lanciare lo sprint. Ai 200 metri Asgreen lo salta e punta dritto all’arrivo, Mohorič dietro a ruota. È ai meno 50 metri che Matej sbuca all’aria, si affianca e riesce a passarlo e ad aggiudicarsi la gara, transitando sulla linea d’arrivo con un paio di centimetri di vantaggio.
“In questo modo sembra quasi di avere rubato la vittoria”, spiega nell'intervista del dopo gara Mohorič in lacrime e quasi giustificandosi. ”Tutti vogliamo vincere e tutti lottiamo, facciamo sacrifici e prendiamo rischi per riuscire a portare a casa una vittoria al Tour de France, che ti cambia la carriera”. Se non l’avete vista, l’intervista di Mohorič vale la pena cercarla su YouTube e ascoltarla per intero. Nelle sue parole c’è tutta la sofferenza e il peso che la vita e gli anni di corse hanno posto sulle sue spalle. Non è facile la vita di un ciclista professionista.
A tratti durante l’intervista il pensiero va certamente a Gino Mäder, ai momenti e alle corse vissute insieme, e quelli sono gli attimi in cui la voce risulta spezzata dalle lacrime. Nell’intervista però c’è anche la netta sensazione che la carriera di Matej, con la vittoria di ieri, sia arrivata a un punto di svolta importante. Forse Mohorič ieri, in qualche modo, si è liberato della necessità di rischiare sempre il tutto per tutto per vincere le corse. “Le gare di ciclismo sono un gioco, e non dovremmo mai dimenticarcene”, ha detto Mohorič nell’intervista. Probabilmente non è a noi che lo stava dicendo. Forse è con se stesso che stava parlando.
Un grande abbraccio, Matej.
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