C’è stato un momento ieri, quasi all’arrivo della quindicesima tappa che si concludeva ai piedi del Monte Bianco, in cui il tempo sembrava essersi fermato. Tadej Pogačar e Jonas Vingegaard pedalavano in salita e si facevano largo in mezzo alla folla procedendo nella scia di Adam Yates, la strada curvava leggermente verso destra in quel tratto. È durato qualche secondo in tutto, qualche decina di giri di pedale se vogliamo misurare il tempo in metri. Se fino a quel momento al Tour de France i due protagonisti della classifica generale avevano sempre mandato inequivocabili segnali di essere a un altro livello di performance e di forma fisica, per alcuni brevissimi secondi sulle rampe di Saint-Gervais Adam Yates è parso un gigante. È durato pochissimo ma sono in molti ad avere avuto quella sensazione. È successo tutto dentro alle nostre teste in realtà, in classifica generale non si trova traccia di questo infinitesimale blackout spazio-temporale.
Mancavano soltanto 2,5 km dalla cima della salita e davanti la corsa era già giunta al suo epilogo, con Wout Poels che a braccia alzate andava a concludere la gara precedendo di due minuti un immenso ma ancora secondo Wout Van Aert. Adam Yates, con il suo classico dondolio delle spalle pedalava en danseuse facendosi largo tra la folla, l’andatura era alta e Pogačar e la maglia gialla Vingegaard seguivano, lo sloveno stranamente pedalando meno agile del danese, quest’ultimo pronto a riprendere alzandosi in piedi sui pedali se necessario.
Le immagini in quel momento erano dall’alto, riprese dall’elicottero. Mentre nessuno se lo aspettava, tra Tadej Pogačar e il suo compagno di squadra Adam Yates si è improvvisamente aperto un divario, un piccolo spazio prima di qualche decina di centimetri, poi sempre di più, fino ad arrivare a qualche metro. Uno, due, tre, cinque dieci, quindici metri. Infine Adam Yates ha allungato decisamente andandosene al suo passo, infischiandosene del suo capitano e anche della Maglia Gialla. I tifosi a bordo strada sembravano incerti su cosa stesse accadendo esattamente in quel momento e anche quelli davanti alla TV erano un po’ disorientati. Perfino i commentatori televisivi non sapevano esattamente cosa dire. Era uno stratagemma tattico di Pogačar? Una mossa per costringere Vingegaard a inseguire o a passare davanti? O forse Pogačar non riusciva a tenere il ritmo di Adam Yates? E se così fosse stato, perché Jonas Vingegaard non scattava? Perché? Perché? Cosa stava succedendo.
Niente, in effetti. Niente di niente. Eppure nelle nostre menti si accavallavano decine di ipotesi e di supposizioni e si aprivano scenari riguardanti possibili crolli fisici o attacchi di Vingegaard, contrattacchi di Pogačar che siamo arrivati a immaginare prima come un atleta vicino alla défaillance e poi come un astuto giocatore di poker che mette in scena il suo bluff.
Nel frattempo ecco arrivare il Carlos Rodríguez che non ti aspetti e allora lì, memori della tappa del giorno precedente, era davvero difficile mettere le cose in prospettiva e capire cosa stesse succedendo esattamente.
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Poi il tempo ha ripreso a scorrere e l’universo ha ricominciato a funzionare normalmente. Tutte le nostre supposizioni e fantasie di spettatori, tutti i nostri voli pindarici, le nostre ipotesi, sono svanite in un nanosecondo. A un chilometro dal traguardo Tadej Pogačar è improvvisamente scattato con una delle accelerazioni esplosive a cui ci ha abituato. Vingegaard non si è lasciato sorprendere e anzi, senza calcare la mano, senza apparente affatica, ha provato a rintuzzare. Adam Yates lo abbiamo visto sfrecciare nella inquadratura come uno striscione bianconero appeso alle transenne. Vingegaard ha dimostrato di non voler lasciar fare, contrattaccando e rimontando ma non affondando il colpo. C’è stato un intenso gioco di occhiate e di sguardi. Più che un finale di corsa e uno sprint sul traguardo quello che abbiamo visto ieri nel chilometro finale di Saint-Gervais è stato un finale buono per la psicoanalisi.
Oggi giorno di riposo e domani si corre la cronometro, la prova della verità.
Finalmente sapremo qualcosa in più delle energie che rimangono nelle gambe perché fino ad ora i due favoriti sembrano equivalersi ed è difficile sbilanciarsi in ipotesi e pronostici. La prova contro il tempo rappresenterà una sorta di reset della classifica e la possibilità di comprendere meglio lo scenario tattico che ci attende per l’ultima settimana di corsa, la fatidica, immancabile, gloriosa, intramontabile terzasettimana del Tour de France, scritto tutto attaccato.
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