ARTICOLO REALIZZATO IN COLLABORAZIONE COL PROGETTO VÉLO - PLUF!, FINANZIATO DAL PROGRAMMA INTERR1E19GALCO TRA ITALIA FRANCIA 2021-2027
Sebbene la sua cima sia di circa mille metri inferiore a quella del più alto massiccio alpino, il Monviso è una delle montagne più iconiche d’Europa. Il triangolo sommitale che si impone sulle circostanti cime delle Alpi Cozie gli ha fatto guadagnare il titolo di Re di Pietra, un rango che viene riconosciuto dagli abitanti che risiedono alla sue pendici e che, indipendentemente dai confini orografici e amministrativi, si sentono parte di una cultura comune, quella occitana. Sia nelle valli di Cuneo che in quelle di Queyras, Ubaye e Serre-Ponçon, la passione per il ciclismo è fatta di rituali ascensionali che si rinnovano ogni anno. Sin dai primi decenni del secolo scorso, il Tour de France e il Giro d’Italia hanno frequentato questo territorio ed è proprio grazie alla secolare osmosi fra le valli del Piemonte e delle Hautes-Alpes che, a partire dal Secondo Dopoguerra, gli sconfinamenti da una parte all’altra delle Alpi sono diventati frequenti per mettere in scena tappe quasi sempre decisive per la conquista delle maglie rosa o gialle.
Da alcuni anni, la collaborazione fra le amministrazioni italo-francesi ha portato alla creazione di un calendario comune di chiusure al traffico motorizzato che, nella prima decade di luglio, si è articolato nei sei appuntamenti di Scalate leggendarie nelle Terre del Monviso e nei cinque della Tournée des Grands Cols. Migliaia di ciclisti hanno pedalato in alta quota senza lo stress e i rischi che accompagnano abitualmente chi è costretto a dividere la strada con auto, moto e mezzi pesanti. Nelle vallate alpine che accolgono i ciclisti è in atto una trasformazione: le chiusure al traffico stanno progressivamente sostituendo le competizioni, la completezza dell’esperienza cicloturistica prevale sull’esasperazione della performance agonistica, la voglia di scoprire e contemplare s’impone sul riscontro del cronometro. Durante le ascese al Colle di Sampeyre, a Pian del Re, al Col d’Izoard e al Col Agnel, le difficoltà imposte dalla lunghezza, dalle pendenze e dalla quota sono state anestetizzate dal piacere di pedalare immersi in un territorio montano che, pur vivendo prevalentemente di turismo, ha saputo tenerne a bada le dinamiche più massificanti conservando la propria identità.
La ripida risalita verso i 2284 metri del Colle di Sampeyre è un’immersione nel verde delle foreste della Valle Varaita che, in virtù della sua monocromia, è anche conosciuta come la Valle Smeraldina. Eccezion fatta per alcuni pascoli e alcune borgate d’alta montagna, questa salita è una sequenza di rettilinei e tornanti dentro boschi di latifoglie e conifere. Soltanto negli ultimi due chilometri, la vegetazione si dirada offrendo un’ampia visuale sulla sommità del Monviso. Salita dal fascino discreto, il Colle di Sampeyre collega la Valle Varaita alla Val Maira, unanimemente considerata come una delle più selvagge d’Europa. Nel 2003, l’unico passaggio del Giro d’Italia avvenne nel senso opposto a quello della mia ascesa. Durante la tortuo- sa discesa verso Sampeyre, Marco Pantani cadde e, a causa dei minuti persi, dovette rinunciare a un posto nella top ten della sua ultima Corsa Rosa. All’epoca la risalita avvenne nella gola che conduce al Vallone di Elva, da alcuni anni inaccessibile dal basso.
Dopo lo scollinamento, lascio andare la bicicletta lungo la dorsale che conduce al Colle della Cavallina per poi voltare a destra e arrivare a Serre, capoluogo di Elva. Il tesoro di questo comune di appena 77 abitanti è la Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Assunta che custodisce al suo interno un ciclo ad affresco, realizzato intorno al 1493 dal pittore fiammingo Hans Clemer, con l’illustrazione della vita della Vergine e di Cristo. Proprio in virtù dell’opera di Clemer, questa piccola chiesa di montagna è da molti considerata come la “Cappella Sistina delle Alpi”. Per sopravvivere ai “nove mesi d’inverno e tre mesi d’inferno” descritti da un antico detto popolare, gli abitanti di Elva si inventarono la singolare attività di pelassier. Costretti all’inattività dall’autunno alla primavera, nei mesi più freddi dell’anno gli uomini elvesi attraversavano le valli dell’intero arco alpino per raccogliere i capelli che, dopo essere stati lavati e riuniti in trecce dalle donne, diventavano le parrucche delle aristocrazie europee, finendo persino alle corti di Londra e Parigi.
Dopo la risalita al Colle di Sampeyre e la discesa fino alla pianura cuneese, arrivo a Saluzzo, una cittadina che, per la bellezza delle sue chiese e dei suoi palazzi, si è guadagnata l’appellativo di “Siena del Nord”. Equidistante da Torino e dal confine con la Francia, Saluzzo è stata capoluogo di un potente marchesato prima di essere conquistata dai francesi (nel 1548) e dai Savoia (nel 1588). Il complesso della Castiglia, il Palazzo Comunale con la Tor- re Civica, Casa Cavassa e la Chiesa di San Giovanni sono un distillato di architettura rinascimentale, luoghi nei quali la Storia è nascosta nei dettagli. Impossibile non innamorarsene e non confermare l’analogia della cittadina piemontese con la più nota località toscana.
Ciclisticamente il solo modo per avere un incontro ravvicinato con il Monviso è salire ai 2020 metri di Pian del Re. È in Valle Po che l’omonimo fiume inizia il lungo e sinuoso percorso di 652 chilometri che sfocia nel Mar Adriatico. Nel 1991, quando il Giro d’Italia arrivò per la prima volta a Pian del Re, ero a bordo strada per veder transitare il mio idolo: Laurent Fignon. Quella piovosa giornata di giugno fu un trionfo per il ciclismo toscano: Massimiliano Lelli vinse la tappa e Franco Chioccioli fece un altro importante passo verso la conquista della maglia rosa. Dodici mesi dopo, Lelli sfiorò il bis preceduto dal solo Marco Giovannetti. In terza posizione si classificò l’assoluto dominatore del Giro del 1992.
Miguel Indurain, in maglia rosa dalla terza all’ultima frazione. Anche se negli ultimi trent’anni l’ascesa al Pian del Re è stata trascurata dal ciclismo professionistico, i venti chilometri che separano Paesana dalle sorgenti del Po continuano a essere uno dei percorsi più frequentati dai salitomani della zona. Dopo una prima metà della salita caratterizzata da lunghi rettilinei e da pendenze piuttosto irregolari, giunti a Crissolo la salita si trasforma. Molto prima di arrivare a quota 2000 metri la vegetazione si dirada mostrando una montagna di ruvida bellezza. I 3,5 chilometri successivi a Pian della Regina sono una sequenza di tornanti altamente panoramici culminanti sul pianoro che è uno dei punti di partenza per gli alpinisti che si avventurano fino ai 3841 metri del Monviso.
Sul confine italofrancese, ai 2950 metri del Colle delle Traversette, si trova il Buco di Viso, il primo traforo delle Alpi. Nel 1478, il marchese di Saluzzo, Ludovico II, d’intesa con il conte di Provenza, Renato d’Angiò, fece realizzare un tunnel di 75 metri per facilitare gli scambi commerciali da un lato all’altro delle Alpi eludendo i passi controllati dai Savoia. Il dialogo fra gli abitanti delle valli cuneesi e quelli del Queyras è stato incessante: la lingua e la cultura occitana sono state e continuano a essere un forte collante identitario da una parte e dall’altra delle Alpi. Dal XIV al XVIII secolo, la République des Escartons sviluppata nel territorio alpino del Briançonnais, del Queyras e delle valli Susa, Chisone e Varaita mantenne una forte indipendenza politica nei confronti dei principali centri di potere da una parte e dall’altra delle Alpi. Non a caso, il simbolo identitario più esibito in queste valli non è il tricolore, italiano o francese che sia, ma la bandiera sulla quale campeggia la Croce occitana.
Continua a leggere su Rouleur Italia 22 - Orizzonti - disponibile su abbonamento o per acquisto copia singola qui