Chi è che vuole un contratto a lungo termine? Prima ci sono stati Chris Froome e Michael Woods con i loro contratti "fino al ritiro" con l'Israel-PremierTech. Poi è stato il turno di Mathieu van der Poel e il suo matrimonio decennale con Canyon, e più di recente, Wout van Aert si è unito al club firmando un contratto “a vita” con Visma-Lease a Bike. E, per quel che vale, il Team UAE Emirates ha offerto contratti di sei anni a quattro diversi corridori negli ultimi anni.
Con tutti questi accordi a lungo termine che vengono firmati a destra e a manca, è facile dimenticare che fino a pochi anni fa, un buon contratto nel ciclismo era considerato della durata di due o tre anni. Ma poi, come ben sappiamo, tutto è cambiato nel 2019 con l’arrivo di Tadej Pogačar e Remco Evenepoel, che hanno riscritto le regole e stravolto le convenzioni praticamente in ogni ambito del ciclismo. E anche i contratti non sono stati immuni a questo cambiamento.
“C’è una ragione molto chiara per cui vediamo contratti sempre più lunghi: le nuove stelle del ciclismo ottengono risultati incredibili fin da giovanissimi, quindi è normale che le squadre vogliano legarli per cinque, sei o sette anni”, afferma Alex Carera, probabilmente il super-agente più influente dello sport, attualmente impegnato, secondo i rumors, nella rinegoziazione del contratto di Pogačar con il Team UAE, che si dice includa una clausola di rescissione da 100 milioni di euro. C’è anche una seconda ragione, continua Carera: “In passato, c’era un rischio maggiore legato al doping, ma ora gli sponsor si sentono più sicuri nell’investire su questi talenti, il che permette alle squadre di impegnarsi su contratti a lungo termine".
Ma è davvero positivo per il ciclismo trattenere i corridori nello stesso team per mezzo decennio o più? Cosa succede se, come nel caso di Cian Uijtdebroeks lo scorso inverno, un corridore vuole cambiare squadra prima del previsto? E un contratto a lungo termine vale davvero la pena?
Condizioni e clausole
L'agente Gary McQuaid ha trascorso gran parte degli ultimi vent'anni a negoziare nel mondo del ciclismo professionistico, e una delle conseguenze dei contratti a lungo termine, sempre più "popolari", è che ogni anno si trova a firmare meno accordi. "Prima ne gestivo nove o dieci a stagione, ora ne faccio quattro l'anno", afferma. E mentre in passato la maggior parte dei contratti veniva chiusa durante il Tour de France, oggi molte trattative si concludono già prima del Giro d'Italia. "Le squadre vogliono bloccare i contratti in anticipo e trattenere i propri corridori".
McQuaid riflette l’opinione diffusa nel mondo del ciclismo quando definisce l’accordo di Van Aert come “un'operazione di marketing”, ma sottolinea che tutti i contratti a lungo termine includono varie clausole e condizioni, spesso legate alla performance. In pratica, ciò significa che se un corridore non rispetta le aspettative, come accaduto con Froome, il suo stipendio non sarà così alto. "Non so come Visma abbia strutturato il contratto di Wout, ma sicuramente avranno qualcosa legato ai punti UCI che riesce ad ottenere", spiega McQuaid. "Non potrà presentarsi con 10 chili in più e ritirarsi da tutte le gare. Ci saranno sicuramente clausole e condizioni".
Il britannico Josh Tarling è uno dei giovani corridori a cui è stato offerto un contratto a lungo termine da una delle più grandi squadre di ciclismo.
Nella fascia più giovane, sempre più squadre stanno firmando contratti pluriennali con adolescenti, temendo che se permettessero loro di svilupparsi in una squadra U23 separata, perderebbero l’opportunità di ingaggiarli in seguito. "Non sono un grande fan di questi contratti, perché in cinque anni può cambiare molto", afferma Jamie Barlow, agente che ha negoziato il contratto quinquennale di Josh Tarling con gli Ineos Grenadiers quando aveva solo 18 anni. "Ma se fossi nella posizione della UAE o di Red Bull, vorrei ingaggiare questi giovani talenti emergenti con accordi di tre o quattro anni, perché se corrono per una squadra di sviluppo, non fanno altro che mettersi in vetrina per essere acquistati da qualcun altro".
Squadre più grandi e tasche più larghe
Ma cosa succede se tra un corridore e la squadra i rapporti si deteriorano, le circostanze cambiano e la realtà si trasforma? Può un ciclista, teoricamente legato allo stesso datore di lavoro per un periodo prolungato, trovare il modo di liberarsi? "È successo l'anno scorso con Cian", sottolinea Carera, che ha orchestrato il passaggio del giovane belga dalla Bora-Hansgrohe alla Visma, in un'operazione controversa che ha costretto l'UCI a rafforzare le regole riguardanti i buyout. "Le squadre devono rispettare le regole e la legge. Ad esempio, in Belgio, dove è nato Cian, se non sei soddisfatto del tuo datore di lavoro, puoi decidere di andartene pagando una penale. Una squadra con più risorse può farlo".
McQuaid concorda con Carera: "Un contratto triennale è comune per i corridori classificati tra i primi 100, ma alla fine le cose possono cambiare – un ciclista potrebbe voler lasciare la squadra o il principale sponsor potrebbe ritirarsi – e sarà necessario un sistema che permetta di gestire questi casi di alto profilo in cui un corridore vuole andare via ma non può", dice. "Ci sono molti giovani talenti promettenti che forse guadagnano 100-200 mila euro, ma se fanno un’ottima stagione, come è successo a Marc Hirschi nel 2020, possono improvvisamente richiedere cinque o sei volte quella cifra. È chiaro che stiamo entrando in una fase del ciclismo in cui l'inviolabilità di un contratto è meno rigida rispetto a dieci anni fa".Un corridore che ha un'annata eccellente, come quella di Marc Hirschi nel 2020, può ottenere uno stipendio molto più alto nelle trattative contrattuali.
Le clausole di buy-out stanno diventando sempre più comuni – Barlow afferma che "sono praticamente un requisito indispensabile in ogni contratto che firmo per i miei corridori" – ma non sono ancora universali. L'argomentazione a favore di un mercato dei trasferimenti simile a quello del calcio è che permetterebbe alle squadre di ottenere commissioni di trasferimento vendendo i corridori, il che rappresenterebbe un'entrata significativa per i team di sviluppo e le squadre più piccole. Tuttavia, il timore è che questo sistema favorisca in modo sproporzionato le squadre più grandi e ricche.
Un altro strumento a vantaggio delle squadre con maggiori risorse sono le clausole di "diritto di prelazione". McQuaid spiega: “Funzionano così: un corridore firma un contratto e se dopo due o tre anni riceve un'offerta da una squadra rivale, la squadra attuale ha il diritto di eguagliare quell'offerta, costringendo il corridore a restare”. McQuaid è contrario a questo sistema, poiché ritiene che un corridore potrebbe avere bisogno di un nuovo ambiente, e non si tratta solo di una questione economica: squadre come la UAE, per esempio, sono in grado di pareggiare qualsiasi offerta.
Come evolveranno i contratti e il sistema dei trasferimenti nel ciclismo è ancora incerto, ma ciò che è evidente è che i contratti a lungo termine non garantiscono necessariamente che un corridore rimarrà nella stessa squadra per tutta la durata del contratto. Lo ha dimostrato Uijtdebroeks lo scorso anno, e anche Remco Evenepoel e Tom Pidcock sembrano desiderosi di cambiare squadra nonostante i loro contratti pluriennali. “In futuro, penso sia molto probabile che vedremo più spesso casi simili”, conclude Carera.