Un estratto dell'intervista alla stella eritrea dell'Intermarché-Circus-Wanty che potete leggere in versione integrale sul n. 14 di Rouleur Italia
Sebbene il colonialismo in Eritrea non sia certamente una pagina di storia di cui gli italiani vanno orgogliosi, sono almeno due le cose interessanti che l’Italia ha esportato in questo paese: l'architettura Art Déco e le corse in bicicletta. L’influenza italiana sullo sviluppo architettonico dell’Eritrea all'inizio del ventesimo secolo è stato fondamentale, in quegli anni vennero costruiti centinaia di edifici nella capitale Asmara e nei dintorni. Gli italiani hanno portato nel paese anche la passione per le corse ciclistiche: gli italiani che vivevano e lavoravano in Eritrea volevano essere informati sull’andamento delle corse e sul Giro d'Italia. Ancora oggi il Giro d’Italia è seguito con molto interesse in Eritrea, mentre il ciclismo è considerato lo sport numero uno nel paese.
Girmay è stato una delle più grandi sorprese del 2022. Il suo successo è sorprendente ma non inaspettato, è un talento eccezionale rivelatosi sin da subito quando ha iniziato a correre, da esordiente, in Eritrea.
Due cose sono fondamentali per capire Girmay: il suo straordinario senso della calma, e la sua ambizione, il suo desiderio bruciante di vincere le corse in bicicletta. Dalla sua parte c’è l’età, è molto giovane ancora: è nato il 2 aprile 2000.
Quest'anno le aspettative per lui sono ancora più alte. Gli obiettivi si sono fatti più ambiziosi, ora ha iniziato a puntare alle Monumento come la Milano-Sanremo o il Giro delle Fiandre, per non parlare del suo primo Tour de France, che non vede l’ora di correre.
Mio padre è stato la mia più grande ispirazione. È una persona fantastica. È un falegname, amava davvero la famiglia e i suoi figli e mi ha insegnato a lavorare sodo e a essere umile. In Eritrea la famiglia viene prima di tutto e lui ha fatto di tutto per tenere la nostra unita. Mio padre è una parte fondamentale del mio successo. È il mio eroe personale.
Non sarei dove sono oggi se non fosse per molti corridori eritrei che sono venuti prima di me. Ci sono stati ragazzi come Daniel Teklehaimanot, Natnael Berhane o Merhawi Kudus che si sono messi in luce e sono conosciuti anche in Europa ma anche prima, in Eritrea, c'erano altri corridori molto forti, che però non avevano i mezzi per diventare professionisti. La tradizione del ciclismo nel mio paese è molto lunga. Molti italiani si sono stabiliti lì e avevano il ciclismo nel cuore. Il ciclismo in quegli anni era lo sport principale in Italia, quindi il ciclismo ha radici profonde.
Non avevo pedalato molto sul pavé, fino all'anno scorso. Non avevo molta esperienza perché in Africa non c'è il pavé, soltanto in Ruanda, c’è qualche strada. In Ruanda ho corso qualche volta, ma non molto, in ogni caso mi sono adattato bene. Mi piacciono le corse dure e credo di aver fatto esperienza gareggiando in molte condizioni diverse. In Eritrea ad esempio, gli atleti giovani, fino all'età di 15 anni più o meno, si concentrano sulla mountain bike. Si gareggia in strada e fuoristrada, la mountain bike ti dà davvero molte abilità tecniche.
Mi sono sempre piaciuti molto Peter Sagan e Alejandro Valverde. Vincevano tantissimo e qualsiasi tipo di corsa. Potevano vincere le classiche, il campionato del mondo o al Tour de France. E mi è sempre piaciuto molto anche il loro modo di festeggiare, sono davvero stati un’ispirazione per me. Ho parlato molto con Peter l'anno scorso, ma a essere sincero non so se sono riuscito bene a fargli capire quanto sia stato d'ispirazione per me, ero un po’ in soggezione.
Vincere la Gent-Wevelgem ha totalmente cambiato la mia vita. Già avevo visto l'impatto che la vittoria aveva avuto quando sono diventato il primo corridore di colore a vincere una medaglia ai Campionati del Mondo, ma dopo la Gent-Wevelgem, e poi la tappa al Giro d’Italia, è stato pazzesco, da non credere! Tutti gli eritrei sparsi per il mondo sapevano ciò che avevo fatto. Quasi ogni giorno un eritreo incontrato da qualche parte saltava fuori per farsi un selfie con me e sono stato invitato varie volte in televisione.
Vincere la tappa del Giro è stato il momento più bello e anche quello più brutto. Solo venti minuti dopo aver tagliato il traguardo il tappo dello champagne mi ha colpito in un occhio. Improvvisamente non riuscivo a vedere e provavo un dolore fortissimo. In un attimo ho dimenticato la mia vittoria perché se perdi un occhio, la tua carriera è finita. Ora sto bene e non voglio più pensare a quel brutto momento, cerco solo di dimenticarmene.
Voglio altre vittorie, adesso. Quando vinci una volta sai che puoi rifarlo ancora e vuoi altre vittorie. Voglio davvero vincere una Monumento prima o poi, perché so quanto sono difficili e ambite da tutti i corridori. Le classiche dei miei sogni sono il Giro delle Fiandre e la Milano-Sanremo, penso di essere molto adatto per entrambe. E poi c’è il Tour de France, vincere anche lì è un sogno che voglio realizzare.