Dopo l’indigestione di salite, debacle e di emozioni dei giorni scorsi, ieri il Tour de France è tornato a una delle sue tappe - chiamiamole così - normali. Definire normalità una tappa di 184 chilometri percorsi alla media di 44.951 km/h risulta difficile ma ci siamo capiti. Il terreno era adatto a un altro arrivo in volata e poteva essere idoneo a far registrare la quinta vittoria della maglia verde Jasper Philipsen.
Pronti-via, le grandi manovre per far partire la fuga sono cominciate subito, al chilometro zero. Dopo una raffica di attacchi e contrattacchi, tutti stoppati sul nascere dalla Alpecin-Deuceunink, tre uomini pericolosi sono riusciti a prendere il largo: Kasper Asgreen della Soudal-Quick Step, la squadra più insoddisfatta di questo Tour de France; il norvegese Jonas Abrahmsen della Uno-X; e l’ex detentore del record dell’ora Victor Campenaerts, un uomo pericoloso per la sua caparbietà e per le sue ottime doti di passista.
I tre fuggitivi lavorando sodo e andando di buon accordo sono riusciti a accumulare un buon margine che si è stabilizzato a circa a 1’30”, un buon compromesso per la pace di tutte le squadre con un uomo-jet da portare al traguardo. In situazioni come queste lo scopo dei team con un velocista pronto a giocarsi la vittoria finale in volata, è quello di tenere una fuga controllata e controllabile davanti, con l’intenzione di andarla a riprendere nei chilometri finali di gara.
A 85 chilometri dal traguardo era in programma la Côte de Boissieu, una salita abbastanza modesta di 2.6km al 4.8% e un buon trampolino di lancio per chiunque aspirasse a inserirsi nella fuga di giornata proiettandosi in avanti. È qui che gli uomini della Alpecin-Deuceunink, in massima allerta, hanno dovuto svolgere gran parte del loro lavoro di controllo per impedire che il terzetto di fuggitivi, arrivati nel frattempo a un solo minuto di vantaggio, riuscisse ad attrarre e inglobare anche altri corridori. Un conto è controllare una fuga di tre uomini, tutt’altra cosa è controllarne un numero più consistente. Per non trasformare la corsa in una sfiancante e inutile gara a inseguimento senza fine, l’imperativo era evitare altri attacchi e il rimpolparsi della fuga.
Il termine controllo si presta a vari tipi di interpretazione, ci sono regole non scritte e molti modi di controllare la corsa. Uno di questi, fin troppo spesso usato dalla Alpecin-Deuceunink, è schierare trasversalmente nella prima fila tutti gli elementi della squadra occupando l’intera carreggiata, in modo da impedire a chiunque, da dietro, di potersi lanciare ad alta velocità e scattare nel tentativo di ricongiungersi con la fuga. Se questo comunque succede, se qualche corridore riesce ugualmente a fuggire in avanti è compito della squadra che sta controllando la corsa andare a riprendere il fuggitivo, mettendosi alla sua ruota e scoraggiandolo nella sua iniziativa. Come? Ad esempio non dandogli nessun cambio per rifiatare o costringendolo a zigzagare per la strada in cerca di un po’ di sollievo dalla fatica.
Ieri però dopo la Côte de Boissieu la Alpecin-Deuceunink in questo lavoro di marcatura a uomo, si è spinta un po’ troppo oltre. Quando Pascal Eenkoorn, compagno di squadra di Victor Campenaerts si è lanciato in avanti sfruttando l’abbrivio e la confusione seguente al GPM, Jasper Philipsen non si è accontentato di seguirlo. Sfruttando l’andamento curvilineo della strada, con un atteggiamento che è parso arrogante e fuori luogo si è messo davanti a lui costringendolo più volte a frenare e a interrompere la sua azione sui pedali. È stata una scena fastidiosa da vedere in televisione, soprattutto dopo le tantissime mielose immagini di fairplay tra i protagonisti della classifica generale che ci siamo abituati a vedere in questi ultimi due anni.
Poi comunque, qualche chilometro dopo, in una sorta di instant karma che non sarà sfuggito a chi come me è rimasto infastidito da questo atteggiamento di Jasper Philipsen, Pascal Eenkoorn è riuscito a ricongiungersi con il suo compagno Victor Campenaerts e con la fuga, portandola poi a termine e classificandosi secondo sul traguardo finale di Bourg-en-Bresse. A Jasper Philipsen e alla Alpecin-Deuceunink non è rimasto che accontentarsi di disputare lo sprint per il quarto posto, meno di un secondo dietro al vincitore Kasper Asgreen.
Il ciclismo ci entusiasma sempre perché sa farci vedere, in filigrana, una serie infinita di situazioni in cui ci rispecchiamo e che in qualche modo hanno a che fare con la vita quotidiana, non soltanto con lo sport. A chi di noi non è capitato di sentirsi danneggiato o intralciato da qualcun’altro più arrogante e magari più potente o grosso di noi? È capitato a tutti ed è esattamente quello che è capitato ieri in corsa al Tour de France.
Ieri tifare per la fuga significava dare voce a quella fragile e delicata idea di giusto che ciascuno di noi si porta dentro. Bene che Kasper Asgreen e la Soudal-Quick Step abbiano vinto la loro corsa, ma se a passare sul traguardo per primo e a vincere la volata dei fuggitivi fosse stato Pascal Eenkoorn, beh, sarebbe stata la vittoria perfetta.