Il Tour de France è arrivato alle Alpi. Non si può nemmeno dire: ‘finalmente’, abbiamo già avuto fin qui una corsa combattuta e divertente che ci ha fatto godere, quello che ci aspetta adesso è un finale in costante crescita di emozioni e di spettacolo. Ieri la corsa ha affrontato come ultima salita il Grand Colombier, una salita impegnativa e bellissima di 17,4 chilometri al termine di una tappa breve, di soli 137 chilometri sulla quale Tadej Pogačar e Jonas Vingegaard si sono controllati a vicenda. Nel farlo una fuga di corridori buoni, tra cui il polacco Michal Kwiatokowski che ha poi vinto la corsa, ha preso il largo e non c’è più stato modo di andarlo a riprendere.
Kwiatokowski è un atleta fortissimo di 33 anni che gareggia ora soprattutto in appoggio ai compagni della INEOS Grenadiers, con la libertà come è successo ieri di andare a caccia di qualche bel successo personale. Quello dei successi di tappa è diventata la strategia della squadra inglese, che ci aveva abituato in passato al dominio per la classifica finale. Corridore intelligente e di esperienza, “Kwiato" nella sua carriera oltre il titolo di Campione del Mondo nel 2014 ha vinto molte corse importanti, molte delle quali due volte: Milano-Sanremo e poi due volte la Amstel Gold Race, due volte la Strade Bianche, due volte la Tirreno-Adriatico, due volte la Vuelta ao Algarve, due tappe al Giro di Polonia e due tappe al Tour de France.
Quella per raggiungere la cima del Grand Colombier dal versante di Culoz, nel dipartimento del Ain su cui i corridori hanno pedalato ieri, è una salita magnifica, molto apprezzata anche dagli appassionati delle grandi salite per i suoi magnifici tornanti che caratterizzano la parte intermedia della strada. A rendere questi tornanti unici c’è il fatto che per un lungo tratto si susseguono a distanza ravvicinata seguendo e assecondando la dorsale della montagna, che è nella realtà un lungo costone che sale continuamente verso l’alto fino a 1501 metri.
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Guardando la corsa ripresa dall’elicottero, ieri in TV, a qualsiasi cicloamatore è venuta voglia di andare immediatamente in garage, prendere la bicicletta e andare a caccia del primo tornante a portata di pedale. I tornanti eccitano la mente di noi ciclisti per una serie di ragioni, alcune delle quali hanno a che vedere con la perfezione ingegneristica della costruzione, altre invece con la sensazione che si avverte pedalandoci sopra in bicicletta. È una cosa stranissima, c’è da una parte mentre si sale la fatica di andare avanti e indietro per il pendio in salita, apparentemente senza logica e dall’altra invece, in curva, il piacere delle ruote che girano quasi senza fatica dandoci sollievo in un gioco di contropendenze e inclinazioni.
Una strada in fin dei conti non è soltanto un luogo di transito e di passaggio, è il risultato del pensiero umano che cerca di leggere e mettere insieme la natura caotica e selvaggia dell’ambiente con la razionalità della matematica e della geometria, trasformando il paesaggio e tentando di integrarsi a esso. Secondo Carlo Donegani, l’Amadeus Mozart (o il Diego Armando Maradona, se preferite) della costruzione delle strade di montagna, disegnatore e progettista tra le altre sue opere delle strade del Passo Stelvio e del Passo Spluga nel 1800, i tornanti non sono una linea di passaggio reperibile in natura ma piuttosto il risultato di un pensiero evoluto. Per questo quindi, sono vere e proprie opere d’arte. Certe opere d’arte si guardano soltanto, su certe altre ci si pedala.
L’andirivieni apparentemente insensato lungo i versanti della montagna per superare il dislivello, è una specie di atto di fede. Forse è proprio questo abbandono della logica in favore della razionalità, che fa godere noi ciclisti. È il weekend, dateci la nostra dose settimanale di tornanti da pedalare, ne abbiamo bisogno. Qual’ è il tornante più vicino a voi, quello speciale, che conoscete come il palmo della vostra mano, quello che quando ci pedalate sopra pensate: ‘Dio, grazie di avermi fatto ciclista’?
Oggi ci andrete?