RIESCI A VEDERE IL VERO ME?

RIESCI A VEDERE IL VERO ME?

Mark Cavendish ha trascorso sedici stagioni ai vertici del ciclismo ed è ancora motivato a proseguire. Gli abbiamo chiesto di raccontarci come gestisce se stesso e cosa è cambiato - e cosa no - nel suo approccio alla vita.


Testo originale di Amy Sedghi

Fotografie di Leblanq

Un estratto della nostra intervista a MARK CAVENDISH e pubblicata sul numero 13 di Rouleur Italia

Una delle prime cose che si notano quando si incontra Mark Cavendish, sono i modi riservati e il suo modo gentile di parlare. Arrivando all'aeroporto, mentre ci dirigiamo a Ibiza per un weekend di ciclismo organizzato da LeBlanq, il tour operator  destinazioni ciclistiche e gastronomiche di alto livello, che offre ciò che sul sito della azienda è descritto come "vacanze esclusive per i buongustai del ciclismo", il 34 volte vincitore di una tappa del Tour de France resta in fila tranquillo, senza dare nell’occhio. Mentre gli altri passeggeri si affannano nel tentativo di superare la coda e salire a bordo dell’aereo, Mark Cavendish da sotto la visiera del suo berretto ci saluta tranquillamente con un  "Ciao" e un sorriso.

Più tardi, mentre siamo seduti su una terrazza assolata che dà sul mare, gli chiedo se questa timidezza è qualcosa che sorprende le persone. "Forse", risponde. "La gente ha una percezione della mia personalità basata su quello che vede in televisione. Quando nelle interviste si parla dopo uno sforzo fisico, nel mio caso di solito dopo uno sprint nel finale di gara, si riceve un’impressione diversa". Chiedo a Mark Cavendish se si considera un introverso? "Sì... non lo sono sempre stato", ammette. "Qualche anno fa ho sentito un po’ mancare la fiducia in me e mi sono un po’ chiuso, credo. A mia volta ho perso un po' la fiducia in me stesso, la sicurezza di essere ciò che sono".

Mark Cavendish si riferisce alla sue battaglia personale con la depressione clinica, di cui ha parlato apertamente in passato e che gli è stata diagnosticata nell'agosto del 2018. Quella diagnosi era arrivata dopo un periodo difficile nel 2017, anno in cui Cavendish aveva sofferto del virus di Epstein-Barr. A ciò si erano aggiunti una serie di infortuni: il famoso incidente con Sagan al Tour de France 2017, la caduta all'Abu Dhabi Tour e alla Tirreno-Adriatico nel 2018 e la terribile caduta contro un dissuasore del traffico negli ultimi chilometri della Milano-Sanremo del 2018, che gli aveva provocato la frattura di una costola, contusioni ed escoriazioni.  

Sebbene in passato abbia parlato apertamente dei suoi problemi di depressione e abbia espresso il desiderio di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'argomento, Mark Cavendish ammette che parlare della sua salute mentale è complicato e farlo può spingerlo in un ‘luogo buio’ della sua mente per un po’. Non volendo spingerlo in quella direzione, gli dico che possiamo parlare di tutto ciò che vuole e che non c'è alcun desiderio di fargli pressione su qualcosa che lo mette a disagio. "Ti ringrazio, lo apprezzo molto", mi risponde con genuina sincerità. "Soprattutto ti ringrazio per la sensazione che mi dai di parlare con un essere umano, prima che con un atleta".

Mark Cavendish è abituato a sentirsi chiedere spesso di analizzare se stesso e le proprie prestazioni, ma questo non significa che sia facile, sottolinea. "Nelle interviste preferisco essere onesto, piuttosto che recitare una parte. So che molti sportivi fanno così: dicono solo quello che pensano che la gente voglia che dicano, e questo non è giusto per chi ascolta". Ciò non toglie che mettersi in gioco e scavare a fondo nella propria psiche è certamente logorante, bisogna ammettere.

"Mi analizzo perché mi chiedono di farlo. È l'unico modo in cui riesco a spiegarmi", precisa. "Non è una cosa facile o normale da fare. A volte devi dimenticarti di essere un essere umano. Descrivi le tue azioni e il motivo per cui hai fatto qualcosa ma per chi ti ascolta non è mai abbastanza, il tuo essere, i tuoi pensieri e le tue azioni vengono sviscerati e analizzati. È qualcosa che ti svuota". 

Avanza e fino a scivolare in punta al sedile della poltrona e riprende a spiegare: "Immagina che ogni giorno ci sia qualcuno che ti chieda di analizzare nel dettaglio quello che fai e in fin dei conti la tua personalità, i motivi di certe tue azioni o scelte". “Sarebbe davvero impegnativo”, rispondo. "Ecco, quello è parte del mio lavoro. Non mi lamento, una bella vita, fa parte dei miei compiti, quindi lo faccio. Però, è difficile".

Mark Cavendish spiega che suo figlio Casper, di quattro anni, pedala per ore e ore dentro e fuori casa. "È ossessionato dal ciclismo e parla costantemente con se stesso. Si immagina delle situazioni di gara. Conosce a memoria i corridori e i loro punti di forza o di debolezza, racconta ad alta voce quello che sta succedendo come se fosse una telecronaca. Poi alla fine viene a raccontarmi com’è andata la sua gara. È una gara immaginaria, ma nella sua testa è successa per davvero. È quello che faccio io adesso e che facevo da piccolo: anche i sogni sportivi, sono una visualizzazione".

Mark Cavendish e sua moglie Peta hanno da poco avuto un quinto figlio, una bambina di nome Astrid. Chiedo a Mark come si sentirebbe se qualcuno dei suoi figli decidesse di entrare nel mondo del ciclismo professionistico? "Sosterrò i miei ragazzi in qualsiasi cosa vogliano fare. Se si impegneranno nel lavoro o nello sport, in qualsiasi campo, avranno il mio pieno appoggio", spiega, e poi aggiunge: "Possono scegliere cosa fare e cambiare idea. Io non li spingo mai a fare qualcosa e non gli impedisco mai di fare qualcosa. L'unica cosa che gli chiedo sempre è di non arrendersi. Quella è la cosa più importante che gli posso insegnare".

Continua a leggere su Rouleur Italia n. 13

 

 


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