Sto ancora cercando di trovare le parole giuste per descrivere tutte le emozioni provate alla gara dei Campionati del mondo élite maschili di Glasgow domenica scorsa. Io e il mio collega qui a Rouleur, James Startt, ci siamo incontrati quella mattina e avevamo un piano ben preciso in mente: saremmo partiti da Montrose Street per fare qualche scatto della folla e poi saremmo saliti sul bus navetta riservato ai fotografi per cercare qualche altro angolo da cui scattare le foto della gara. Ma ai Mondiali nulla va mai come previsto.
Quando siamo arrivati ai piedi di Montrose Street, il gruppo di atleti non era ancora arrivato in città, ma lungo la salita c'era già una folla di tifosi che urlava, ballava e faceva festa ad ogni passaggio delle moto della polizia o dell'ambulanza.
Vedere un pubblico del genere, in cui ad ogni angolo c'erano persone vestite con i propri colori nazionali e che si arrampicavano sui cancelli e sui muri degli edifici circostanti solo per trovare uno spiraglio da cui sostenere i propri corridori preferiti, ha subito dato sia a me che a James una carica pazzesca in termini di energia: ci siamo entrambi sentiti parte della comunità ciclistica, ma soprattutto ci ha fatto capire di essere parte di un momento storico. Ho preso la mia macchina fotografica e ho seguito James su per la salita, ma l'ho perso di vista dopo due minuti a causa del caos. Sopra la mia testa, sentivo il rumore delle pale dell'elicottero. Non c'era più tempo. Avevo bisogno di una buona posizione e dovevo trovarla in fretta. Ho chiesto gentilmente ad alcune persone appoggiate alle transenne se potessi passare. Volevo cogliere i diversi sforzi degli atleti in salita, quindi dovevo essere davanti. Inaspettatamente, mi hanno aperto un varco, erano tutti più che felici di permettermi di fare le foto che volevo.
Era stato un buon inizio, ma volevo qualcos'altro da quella folla incredibile. Dopo il passaggio del gruppo, ho ritrovato James. Mi ha detto: "Seguimi. Faremo degli scatti da lì". Lì era il tetto di un parcheggio. In men che non si dica mi sono ritrovata tra un mare di tifosi belgi alla mia destra e olandesi alla mia sinistra. Per un attimo ho dubitato di essere davvero in Scozia e ho avuto un flashback della finale dei Campionati del mondo di ciclocross svoltasi all'inizio di quest'anno. C'era la stessa atmosfera e la stessa energia nell'aria, che dava ai corridori la motivazione per pedalare più forte e, nel nostro caso, come fotoreporter, la giusta ispirazione.
La gara è poi proseguita, e così anche James e io siamo saliti sul bus navetta: il piano era di esplorare il circuito per trovare altre buone angolazioni da cui scattare. Ma presa dall'entusiasmo, ho improvvisato, seguendo il mio istinto.
Non appena il veicolo è arrivato ai piedi di Scott Street, una salita cittadina con una pendenza del 13,8%, ho capito che quello era il posto giusto. Ho chiesto all'autista di fermarsi e, prima di scendere, ho concordato con James che avrei coperto la fine della gara sulla linea del traguardo mentre lui avrebbe immortalato gli ultimi momenti di azione su Montrose Street.
Appena scesa dal bus navetta, mi sono ritrovata immediatamente in un mare di fan, gasati tanto quelli di Montrose Street, ma questa volta non c'erano le transenne per poterli contenere. Ho camminato fino alla cima della strada, dove ho incontrato un gruppo di bambini venuti dalla Spagna con le loro famiglie per assistere alla gara. Alla mia domanda: "Per chi tifate oggi?", tutti hanno risposto: "Pogačar, merita di vincere". Mi ha fatto sorridere. Era un pensiero puro e semplice che veniva dal loro cuore.
Tuttavia, non c'era più tempo per le chiacchere, le auto dell'UCI avanzavano velocemente e, come una marea, la gente si faceva da parte sui lati della strada. Non avevo dubbi sugli scatti che volevo questa volta. Volevo le foto dei corridori in piedi, volevo immortalarli mentre spingevano forte sui pedali per raggiungere la fine della salita. In particolare, volevo cogliere i loro visi in fase di sprint e aggiungere un po' di colore e dettagli circa le persone intorno a me. Quando gli atleti hanno iniziato la salita, la marea di persone si è spostata di nuovo, ma questa volta in avanti, verso i propri beniamini; è stato semplicemente fantastico da vedere.
Fu in quel momento, quando scattai la foto, che realizzai che la squadra italiana stava facendo una prestazione storica. Da quel momento ho iniziato a sognare per la mia nazione, intravedendo quello che sarebbe successo dopo. Il tempo è diventato biblico e così anche la speranza di tutti gli italiani presenti. Una manciata di chilometri dopo, lo stoico Alberto Bettiol era il leader della corsa, in testa al gruppo dei giganti e in lotta per la maglia iridata sotto una pioggia epica. L'ultima volta che la squadra italiana conquistò il prestigioso titolo su strada nella élite maschile fu nel 2008 con Alessandro Ballan, che coronò per tre anni consecutivi questo traguardo, imitato poi da Paolo Bettini nel 2006 e nel 2007. Pedalata dopo pedalata, sotto una pioggia battente, in testa alla corsa e a tre giri dalla fine, Bettiol ha fatto sognare un'intera nazione, volando alto, ma purtroppo questa volta le sue ali non si sono aperte.
I Campionati del Mondo di Glasgow ci hanno consegnato un nuovo campione del mondo: Mathieu van der Poel. L'olandese è riuscito a conquistare la maglia iridata con un attacco decisivo a 23 chilometri dal traguardo.
Mi sono recata al traguardo, accanto ai migliori fotografi di ciclismo del mondo, sicura che Mathieu van der Poel avrebbe vinto, mentre James era a Montrose Street, come concordato, per immortalare i momenti finali per l'argento e il bronzo.
Tutti eravamo pronti, con i nostri obiettivi fotografici in posizione per immortalare il nuovo campione del mondo, ma all'ultimo abbiamo sentito qualcuno esclamare: "Van der Poel è caduto! La sua scarpa è rotta!". Il fotografo accanto a me ha preso immediatamente il suo cellulare e abbiamo guardato la diretta insieme trattenendo il fiato. Quello a cui stavamo assistendo era incredibile: Van der Poel, infortunato, che risaliva in sella e aumentava il suo margine sul trio formato da Wout van Aert, Tadej Pogačar e Mads Pedersen.
"Se l'incidente mi fosse costato il titolo, non avrei dormito per qualche notte", ha detto l'olandese al termine della gara. "Vincere il Campionato del Mondo è tutto per me: Quando ho attaccato, non pensavo di andare subito in fuga: Mi sono girato, ho visto che avevo pochi secondi e ho pensato solo a spingere fino al traguardo. Vedere che nessuno poteva seguirmi è stata una bella iniezione di fiducia".
Alla cerimonia finale, ho guardato bene i tre giganti in piedi davanti a me sul podio. Ognuno di loro esprimeva un legittimo dolore e un tangibile orgoglio umano, emozioni che tutti noi eravamo in grado di condividere.