Articolo tratto da Rouleur Italia 019 - La bici cambierà il mondo
Elisa si gode la vista dei grattacieli e si sforza di scorgere la Union Jack che sventola a Buckingham Palace, ma la grande città sembra e lei estranea. Le sue vittorie alla Parigi-Roubaix e al Giro delle Fiandre potrebbero averla portata alla fama nel corso della sua decennale carriera professionale, ma è evidente che il suo cuore appartiene ancora alla sua terra natale. Londra va bene per un fine settimana, ma è la libertà delle verdi colline italiane ad avere un posto speciale nel cuore della ciclista della Lidl-Trek.
"Vivo a soli 200 metri dalla casa dei miei genitori”, racconta Longo Borghini con un sorriso. "E a circa 300 metri da mio fratello e da tutti i miei nipoti. Li vediamo ogni giorno”.
La famiglia costituisce una delle fondamenta della vita di Longo Borghini, e attribuisce ai genitori e al fratello maggiore il merito di averla sostenuta nel raggiungimento del successo nella sua carriera. Ha imparato a pedalare per la prima volta all'età di nove anni, desiderando seguire le orme del fratello Paolo, e ci sono voluti ben tre anni di insistenza prima che ci riuscisse. Per Elisa, la vita familiare e il ciclismo sono intrecciati in un legame indissolubile. "Quando ero più giovane, la routine prevedeva che io andassi alla messa in chiesa la mattina, mangiassi il risotto e poi partissi con i miei genitori per la gara. Dopo la gara, prendevo subito un gelato. Questa era la mia domenica", ricorda
Notare con quanta curiosità Elisa Longo Borghini si immerge nel mondo che la circonda mentre osserviamo lo skyline di Londra è illuminante per comprendere che, al di là della sua esperienza su due ruote, la sua personalità va ben oltre la semplice pratica del ciclismo. Nei suoi anni di formazione, la complessità del suo rapporto con lo sport rifletteva anche questa dimensione.
"Ho interrotto per un anno e mezzo quando avevo 16 anni, e ho fatto solo metà stagione durante il secondo anno di università. A volte, a 16 anni, si è un po' sprovveduti e non si sa bene cosa si vuole. In quel periodo ero molto concentrata sugli studi e desideravo dedicarmi all'università. Volevo anche trascorrere del tempo con i miei amici sabato sera. Pensavo: no, forse il ciclismo non fa per me. Ma poi è arrivato novembre, e ho ripreso la bici. Non ho detto niente a nessuno e sono sparita da casa. Quando sono tornata, ho detto ai miei genitori: 'Sapete, amo davvero andare in bicicletta. Voglio gareggiare'. Ho visto la gioia negli occhi di mio padre", racconta Longo Borghini.
La presenza attiva dei genitori è un elemento che Elisa Longo Borghini ritiene cruciale per la sua crescita come atleta. Lo sport è, senza dubbio, una tradizione di famiglia: sua madre, Guidina Dal Sasso, è stata una sciatrice di fondo professionista, mentre il fratello maggiore, Paolo, ha gareggiato come ciclista professionista fino al 2014. Longo Borghini sottolinea che i suoi genitori sono riusciti a trovare un perfetto equilibrio, offrendole un sostegno senza esercitare pressioni eccessive. “Mi ripetevano sempre che lo studio veniva prima di tutto, anche se non ero una bambina con difficoltà scolastiche. Amavo studiare e avevo intenzione di frequentare l'università. Tuttavia, i miei genitori mi hanno lasciato la libertà di scegliere il mio cammino", spiega. "Questo è un dono straordinario, specialmente nel contesto sportivo. Troppo spesso si vedono genitori troppo invadenti, e c'è il rischio di perdere un talento perché il giovane si stanca delle pressioni parentali. I miei genitori non sono mai stati così, ed è stato fondamentale".
Il fratello maggiore è per Elisa Longo Borghini un mentore e un riferimento fondamentale per l'intera sua carriera. Lei racconta come lui sacrificasse i suoi fine settimana per garantire che lei potesse partecipare alle gare quando i loro genitori erano assenti, e la madre era occupata con le sue competizioni.
In ogni storia sulla sua carriera, Paolo emerge come un protagonista essenziale per Elisa, sia che si tratti del suo primo contratto o della sua prima vittoria di rilievo. Pur condividendo la stessa data di nascita, il 10 dicembre, la differenza di età tra i due è di 11 anni, e le rispettive carriere da professionisti si sono incrociate solo per poche stagioni, all'inizio della carriera di Elisa e alla fine di quella di Paolo.
Paolo era presente anche quando Elisa Longo Borghini ha preso parte alla sua prima importante corsa di un giorno in Belgio, la Omloop Het Nieuwsblad del 2011. Dopo essere arrivata alle 23 della sera precedente e aver mangiato una barretta di cioccolato Ritter Sport per cena, ricorda che il consiglio di Paolo era semplicemente quello di "rimanere vicina ai primi" quando si trattava di gareggiare il giorno successivo. Miracolosamente, ha funzionato. Al suo primo anno da professionista, Longo Borghini ha concluso la gara al quinto posto, un segno precoce del fatto che sarebbe diventata una ciclista di punta, in grado di eccellere sulle dure e impervie colline delle Fiandre.
"Non sapevo minimamente cosa stessi facendo in quella corsa. Il concetto di pavé era qualcosa che conoscevo solo attraverso la televisione. Riconoscevo i nomi dei corridori perché ero appassionata di ciclismo. Guardai la lista di partenza e vidi che Emma Johansson era presente. Pensai: 'Ok, devo seguire lei e forse riuscirò a terminare la gara'", racconta Longo Borghini. "Poi lei ha attaccato, e io non avevo la più pallida idea del percorso. Ho seguito Johansson e mi sono aggrappata ad ogni sua mossa, come quando prendeva i canali per evitare il pavé. Ricordo di essere arrivata in cima al Paterberg e di averle chiesto: 'Siamo quasi alla fine?' Lei mi rispose: 'Non siamo nemmeno a metà strada'".
Quella prima Omloop sarà stata anche uno shock per la giovane Longo Borghini, ma quello che non sapeva all’epoca era che le sarebbero bastati meno di tre anni per passare da neo-professionista sprovveduta a vincitrice in una delle corse più importanti del calendario: il Giro delle Fiandre. È stata questa prima vittoria in una Classica Monumento nel 2015, quando ha attraversato il traguardo di Oudenaarde in solitaria, con 43 secondi di vantaggio sulla seconda classificata, a consolidare la sua posizione come uno dei talenti più intriganti nella storia del ciclismo femminile.
"È stato speciale, ho seguito il mio istinto", afferma. "Sentivo che era il momento giusto. Inizialmente, il mio obiettivo era vincere la corsa, ma ammetto che stavo soprattutto sognando. Prima della gara, ricordo che ho avuto una telefonata con mio fratello; mi disse ‘Se ti trovi sola e riesci ad avere un vantaggio di 30 secondi alla fine del Kwaremont, puoi farcela’. Arrivata in cima al Kwaremont, l'ho visto. In modo molto calmo mi ha detto: '58'. In quel momento ho pensato: 'Ok, posso davvero vincere questa corsa'".