La città ai piedi delle Alpi

La città ai piedi delle Alpi

Da Torino alla Sacra di San Michele passando per il Colle del Lys, un itinerario per scalatori in cui natura e cultura si mescolano senza soluzione di continuità

Autore: Davide Mazzocco Immagini: Lorenzo Scarpellini

Articolo pubblicato su Rouleur Italia 20 - Il Giro - disponibile su abbonamento digitale qui

Sono da poco passate le ore 14 di giovedì 25 maggio 1876 quando il ventunenne Paolo Magretti taglia il traguardo della prima edizione della Milano-Torino. Prima dell’alba otto ciclisti hanno preso il via dalla milanese Porta Magenta ma solo la metà di questi raggiungono la destinazione. Magretti – futuro entomologo ed esploratore in Sudan, Tunisia ed Eritrea fra il 1883 e il 1900  – copre i 150 km del percorso in 10h09’, facendo registrare una media di 14,77 km/h. Il primo dei battuti è Carlo Ricci Gariboldi che arriva dopo 1h15’, mentre sul gradino più basso del podio finisce Bartolomeo Balbiani attardato di 1h21’. La Milano-Torino è la più antica di tutte le corse dell’attuale calendario Uci: la prima edizione della Liegi-Bastogne-Liegi, comunemente nota come la Doyenne per la sua anzianità, si disputa sedici anni dopo, nel 1892, con quattro stagioni di anticipo sul debutto dell’“infernale” Parigi-Roubaix. 

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Sede d’arrivo della prima tappa del Giro d’Italia e della terza del Tour de France di quest’anno, Torino può contare su un legame col ciclismo che sfiora il secolo e mezzo. Quando le strade erano di polvere e le fotografie in bianco e nero, aprire la Corsa Rosa con la tappa da Milano a Torino era la soluzione logisticamente più razionale: fu così per otto edizioni consecutive, dal 1936 al 1948. In tempi recenti, il legame fra la prima capitale italiana e la più importante corsa dello Stivale è stato rinsaldato dalla Grande Partenza del 2021 con la cronometro cittadina vinta da Filippo Ganna e dall’impegnativa tappa collinare dell’anno successivo vinta da Simon Yates. Sabato 4 maggio, la frazione d’apertura del Giro 2024 da Venaria Reale a Torino vedrà uscire allo scoperto tutti i candidati alla maglia rosa sulle impegnative salite di Superga, del Colle della Maddalena e di San Vito. Ben diverso sarà l’epilogo della tappa del Tour de France che, il 1° luglio, vedrà gli sprinter sfidarsi al termine di una frazione velocissima con partenza da Piacenza. Il capoluogo subalpino tornerà a ospitare un arrivo della Grande Boucle sessantotto anni dopo la Gap-Torino dell’edizione 1956 che – sulla pista dello Stadio Comunale affollato da 60.000 persone – si concluse con la vittoria del torinese Nino Defilippis. 

Metropoli-laboratorio che ha sempre fatto dell’innovazione il suo tratto distintivo, Torino sta tentando di lasciarsi alle spalle l’etichetta di “città dell’auto” per costruirsi una nuova identità post-industriale. Per quasi un secolo, ogni progetto di viabilità ha dovuto fare i conti con la dimensione autocentrica imposta dal governo-ombra della città, quello di FIAT, la principale industria italiana. La nuova dimensione globale del marchio automobilistico e i Giochi olimpici invernali ospitati nel 2006 hanno dato il via a un processo di trasformazione urbanistica tuttora in atto. A partire dai primi anni Duemila, nel reticolo urbano cresciuto come coerente espansione del nucleo fondativo romano, le piste ciclabili si sono moltiplicate riportando le persone in sella a una bicicletta. Siamo molto lontani dai tassi di circolazione ciclistica dei centri urbani di Veneto ed Emilia Romagna, ma, con i suoi 258 chilometri di piste ciclabili, Torino è sicuramente all’avanguardia fra le grandi metropoli italiane. Le amministrazioni comunali che si sono succedute negli ultimi due decenni hanno recepito le istanze provenienti dal basso trasformandole in opere pubbliche atte a migliorare la sicurezza  di chi opta per la mobilità sostenibile. Le pedalate informali della critical mass hanno lasciato il posto al Bike Pride, una parata annuale che, nelle edizioni più partecipate, ha radunato oltre 20.000 ciclisti. Il potenziamento della viabilità ciclistica urbana è avvenuto parallelamente allo sviluppo delle arterie ciclistiche extraurbane che conducono alle vicine pianure, colline e zone prealpine. Al di là della fisiologica resistenza di una parte dei suoi abitanti, Torino sembra aver capito in quale direzione sta andando la mobilità, le infrastrutture bike friendly realizzate dalle ultime amministrazioni ne sono la conferma. Partendo dal suo centro storico abbiamo affrontato un itinerario che, in una sola giornata, garantisce un pieno di bellezza dove natura e cultura si alternano senza soluzione di continuità. 

Città nota per l’understatement dei suoi abitanti e per l’estrema razionalità del suo reticolo urbano, Torino è universalmente identificata con un monumento, la Mole Antonelliana, che è un capolavoro di sfrontatezza, un esercizio di hybris applicata all’architettura. Inaugurata nel 1889, con i suoi 167,35 metri di altezza divenne per alcuni decenni l’edificio in muratura più alto del mondo. Dal 2000 la Mole (come viene comunemente chiamata omettendo l’aggettivo che ne ricorda l’artefice, Alessandro Antonelli) ospita il Museo Nazionale del Cinema, un luogo di culto per i cinefili di tutto il mondo. Fra vecchie sceneggiature hollywoodiane ed eccentrici macchinari del precinema, sontuosi costumi di scena e coloratissimi manifesti, il museo custodisce i cimeli di Cabiria, unanimemente considerato per durata, impiego di mezzi e ricchezza delle location il primo kolossal della storia del cinema. L’itinerario alla scoperta di Torino e delle sue montagne non poteva che cominciare da quest’iconico monumento per poi proseguire verso Piazza Castello, luogo che ospita sia Palazzo Madama (interessante ibrido di barocco e romanico), sia Palazzo Reale (cuore della dinastia Savoia fino ai primi anni del Regno d’Italia). Qui e nella vicina Piazza San Carlo la compostezza, spesso associata al carattere dei torinesi, assume una sua plasticità: fatta eccezione per le anarchiche vie Po e Pietro Micca, il centro cittadino è un coerente insieme di rette parallele e perpendicolari, vie che, come scrisse il poeta Umberto Saba, “si prolungano come squilli”. A pochi metri da Piazza Castello si trova il Duomo di Torino che custodisce la Santa Sindone, un antico lenzuolo di lino che, secondo la tradizione cattolica, avrebbe avvolto il corpo di Gesù Cristo dopo la sua crocifissione. Bastano pochi colpi di pedale per lasciarsi alle spalle il silenzio della piazza antistante la cattedrale di San Giovanni Battista ed entrare in una dimensione antitetica, quella dei banchi di Porta Palazzo, il mercato all’aperto più grande d’Europa. Chiassoso, policromatico e babelico, è un luogo irrinunciabile per chi voglia cogliere a pieno la multietnicità della città. 

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Mezz’ora nel traffico della mattina e arrivo alla Reggia di Venaria. È sui sanpietrini di questa cittadina alle porte di Torino che partirà la centosettesima edizione del Giro d’Italia. Si tratterà della seconda Grande Partenza venariese dopo quella di tredici anni fa: nel maggio 2011, però, la prima tappa fu una cronometro a squadre. Fra le molte Residenze Reali Sabaude situate nell’hinterland torinese, quella di Venaria Reale è sicuramente la più maestosa: basti pensare che con i suoi 80.000 mq supera in superficie sia il Palazzo di Versailles che Buckingham Palace. 

Incurante del percorso della Corsa Rosa, pedalo lungo il muro del Parco della Mandria e raggiungo Lanzo, località situata ai piedi delle tre valli a cui dà il nome. Superato il ponte sulla Stura la strada inizia a salire. Il sole tiepido e le primule annunciano la primavera. I primi dodici chilometri della salita sono pedalabili, in buona parte percorribili pedalando con il lungo rapporto. Durante la settimana, l’assenza di traffico motorizzato rende questa risalita estremamente piacevole. A quota 787 metri si trova Viù, traguardo della seconda tappa del Giro d’Italia Femminile 2019. 

Un chilometro di discesa dopo questo borgo montano e la strada riprende a salire con pendenze più impegnative. Nell’ascesa verso il Colle del Lys si incontrano per la prima volta rampe al di sopra del 10%. Due serie ravvicinate di tornanti si sviluppano a ridosso di una spettacolare faggeta. La trama del bosco e l’esposizione a nord hanno preservato la neve caduta copiosamente nella coda dell’inverno e quando i raggi del sole trovano la strada degli accumuli a bordo strada, i riflessi diventano una festa di luce. A Colle San Giovanni la prima parte della salita (6,5 km al 6,2% di pendenza media con una punta massima del 14%) è conclusa. Rabbocco la mia borraccia a una fontana e proseguo godendomi lo spettacolo dell’anomala convivenza fra i depositi nevosi e i prati colorati dalle primule in fiore. La parte restante della salita (7,5 km al 2,4% di pendenza media) sfiora il borgo di Bertesseno e attraversa quello di Niquidetto, diventando più esigente soltanto nei metri che precedono lo scollinamento ai 1311 metri del Colle del Lys. In cima, una torre circolare ricorda i partigiani morti nelle vallate circostanti durante la Seconda Guerra Mondiale, in particolar modo le 26 vittime fucilate dalle truppe nazifasciste nel luglio del 1944. Il tempo per uno scatto e per vestire l’antivento e sono in discesa. Dopo un primo chilometro velocissimo, la sede stradale si restringe e propone chicane, serpentine e tornanti. Si raggiunge Almese e da qui Avigliana, località che si trova all’imbocco della Valsusa. Qui, nel 1914, nacque Giovanni Valetti, pedalatore di eleganza sopraffina che vinse i Giri d’Italia del 1938 e del 1939 prima che la sua carriera venisse travolta dalla Seconda Guerra Mondiale. La sua seconda maglia rosa fu un capolavoro di caparbietà: alla vigilia dell’epilogo milanese, in una giornata di maltempo, il ciclista piemontese scappò sull’Aprica, rifilò 7’ di distacco al leader Gino Bartali e conquistò la maglia rosa in extremis.  Lungo la seconda salita del nostro itinerario, quella che dai due Laghi di Avigliana conduce al Colle Braida, alcuni pannelli ricordano le imprese di questo passista-scalatore la cui vita sportiva fu irrimediabilmente compromessa dalla guerra. 

Quando la strada riprende a salire, i chilometri nella gambe sono 83. L’aria fresca del mattino è un lontano ricordo e la temperatura è ideale. Sui tornanti che mi conducono sino alla borgata Mortera, le gambe rispondono al meglio. Questa salita che frequento dai primi anni Novanta e che è stata Gpm del Giro d’Italia 2023 è una delle più frequentate dai ciclisti torinesi. Piuttosto pedalabile nei 5 chilometri che conducono a Mortera, permette di rifiatare nel successivo chilometro di discesa per poi riprendere con pendenze che sono un vero e proprio banchetto per le gambe “affamate” degli scalatori. In questa seconda parte i tornanti spariscono sostituiti da lunghi rettilinei ascendenti dove le inclinazioni sono spesso in doppia cifra, con un gradiente che raggiunge una punta massima del 15%. L’apice del flusso dopaminico arriva quando, a 4 chilometri dalla sommità, dopo una curva a sinistra, la Sacra di San Michele si staglia in tutta la sua verticale maestosità. Monumento simbolo della regione Piemonte e fonte di ispirazione del romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco, questo complesso architettonico ha alle spalle una storia millenaria e attira ogni anno circa 100.000 turisti. L’abbazia è uno dei luoghi più iconici della Via Francigena e si trova sulla linea della Via Michelica che, dall’Irlanda a Israele, unisce sette santuari dedicati a San Michele. Sono passati più di trent’anni dalla mia prima scalata, ma il senso di meraviglia che provo di fronte a quest’opera si rinnova ogni volta che, spingendo sui pedali, rivolgo il mio sguardo al suo iconico profilo in cui l’eterno lavoro della natura si fonde con l’opera millenaria degli umani. 

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Nel primo pomeriggio scollino ai 1007 metri del Colle Braida. La discesa che mi riporta ai Laghi di Avigliana è ricca di tornanti nella prima parte, veloce e trafficata nella seconda. Infilo una strada che mi evita l’ingresso ad Avigliana e pedalo lungo la dorsale settentrionale della collina morenica fino a Rivoli. L’ultima fatica della giornata sono i 400 metri al 6% sui sanpietrini che conducono alla sommità del centro storico di questa cittadina che è stata traguardo di una tappa del Giro d’Italia 2023 e della Milano-Torino 2022. Terza residenza sabauda del nostro itinerario dopo il Palazzo Reale di Torino e la Reggia di Venaria, il Castello di Rivoli ha una storia camaleontica: dimora dei Savoia fino all’Unità d’Italia, è stato utilizzato come caserma, biblioteca e Casinò Municipale e ospita oggi un prestigioso Museo d’Arte Contemporanea. 

Scesi dalla collina si imbocca corso Francia, un rettilineo di 12 chilometri che si conclude nel centro di Torino, in Piazza Statuto. La guglia della Mole Antonelliana è la stella polare che guida le nostre pedalate fino alla chiusura dell’anello di 135 chilometri. Chiusa fra l’arco ampio delle Alpi e la dorsale della sua collina, Torino è una città dall’orografia ciclisticamente stimolante, una metropoli intimamente legata alle montagne e alla bicicletta. A distanza di poche settimane, le due feste di strada del Giro e del Tour non potranno che confermarlo. 

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Autore: Davide Mazzocco Immagini: Lorenzo Scarpellini

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