Quando John Cage pubblica Silenzio ha quarantanove anni ed è il 1961. Cage, scomparso nel 1992, è stato un compositore e musicista sperimentale, filosofo, scrittore ed è considerato uno degli artisti più rivoluzionari e influenti del Novecento. Silenzio è un libro composto da un insieme di articoli, conferenze e saggi composti fra il 1937 e il 1961 e spazia dai discorsi sulla musica, alla danza, dalla pittura, allo zen, con storie e aneddoti che nel tempo sono divenuti proverbiali.
In uno di questi aneddoti Cage descrive la genesi di una delle sue opere più celebri, un brano di tre movimenti intitolato 4’33”. Si tratta di una composizione nella quale non è presente nessuna nota per 4 minuti e 33 secondi, ispirata da una sua visita in una camera anecoica, uno di quegli ambienti progettati in modo tale da annullare l’eco e la riverberazione dei suoni. Se andate su YouTube a cercarla la potete trovare e ascoltare. Non c’è niente da ascoltare in realtà, o meglio, quello che c’è da sentire non è la musica di Cage, seduto immobile davanti al pianoforte, ma non è nemmeno il silenzio. “Ogni cosa che facciamo, è musica”, amava dire John Cage. La musica è il suono dell’ambiente circostante.
Se avrete pazienza di ascoltare tutti i 4’33” secondi di silenzio della sua performance, potrete rendervi conto che in una sorprendente situazione di inversione delle aspettative gli unici suoni presenti nel teatro in cui John Cage esegue la sua opera, sono quelli dell’ambiente circostante e quelli prodotti casualmente dagli spettatori presenti in sala: un colpo di tosse, lo scricchiolio delle sedie, il suono lontano di una porta che sbatte - o qualcosa del genere - e poco, pochissimo altro ancora.
La tappa di ieri, la sesta di questo 106esimo Giro d’Italia, è stata un po’ come l’opera di John Cage. Mentre tutti si aspettavano un po’ di bagarre e qualche scaramuccia, qualche sparata tra i pretendenti alla vittoria finale, quella che è andata in scena è invece stata una corsa che non è esatto definire silenzio, ma che è altrettanto difficile definire musica così come siamo abituati a pensarla. Se il ciclismo è musica, il suono di questa tappa è stata un opera di John Cage. Per 211 chilometri tre uomini in fuga sono rimasti al comando – Davide Bias della EOLO-Kometa, Karel Vacek del Team Corratec e Simone Petilli del Team Intermarchè Circus - arrivando anche ad accumulare un vantaggio massimo di 12 minuti sul gruppo.
Poi come era logico aspettarsi il vantaggio si è progressivamente ridotto, ma senza azzerarsi. Tutti ieri, abbiamo fatto il tifo per i fuggitivi. A vincere precedendo il gruppo di 3’10” è stato Davide Bias, l’atleta dei tre arrivato sul traguardo più lucido e con le gambe migliori. Per Davide, 25 anni di Rovereto, si è trattato della prima vittoria da professionista. Dietro invece, tra i protagonisti più attesi, non è successo niente di quello che ci aspettavamo. Intendiamoci: la salita finale è stata fatta a un ritmo molto sostenuto, tanto da costringere molti corridori a cedere e a staccarsi uno dopo l’altro come in un mega test FTP collettivo.
La cosa davvero inaspettata però, è stata vedere all’arrivo un gruppo compatto di oltre 30 corridori. Poche emozioni ha regalato lo sprint finale di Remco Evenepoel che orgogliosamente, testardamente, ha tenuto dietro Primož Roglič precedendolo sul traguardo di mezza ruota. Si è trattato di una specie di colpo di tosse che ha rotto il silenzio in un’opera senz’altro rispettabile ma caratterizzata dall’assenza di note e musica.
Ci attendevamo moltissimo fa questa tappa, forse anche perché la cornice del Gran Sasso era straordinaria e poi si sa, quando a bordo strada si vedono i muri di neve, noi tifosi cominciamo a sognare.
Speriamo in qualcosa di più eccitante nei prossimi giorni.