I numeri che fanno la storia

7.000 appassionati e 84 brand hanno animato Rouleur Live a Londra, l'evento dedicato alla cultura ciclistica. Tra gli incontri più memorabili sul palco, Fabio Aru ha condiviso la sua storia e le sfide della sua carriera

Autore: Fulvia Camisa Immagini: Alessandra Bucci

Fabio Aru ha un modo di raccontarsi che conquista: la sua genuinità e spontaneità catturano l’attenzione ancora prima che inizi a parlare di ciclismo. Lo incontro alla Truman Brewery di Brick Lane, nell’East End di Londra, durante Rouleur Live a metà novembre. Questa ex fabbrica di birra, trasformata in un hub per eventi, è stata il cuore pulsante della celebrazione della cultura ciclistica di Rouleur. E, quest’anno, i numeri sono cresciuti: 7.000 appassionati in tre giorni, con un aumento del 25% nelle vendite rispetto al 2023.

Il meglio del ciclismo si è dato appuntamento qui: 84 brand hanno presentato le loro ultime innovazioni, i contenuti social dell’evento hanno superato il mezzo milione di visualizzazioni e, sul palco principale, quasi il 40% degli ospiti erano donne.

Tre giorni di incontri memorabili e storie da ascoltare, con protagonisti come Tom Pidcock, Alejandro Valverde, Sean Kelly, Lizzie Deignan, Lorenzo Finn, Ben Healy, Ellen van Dijk e Greg LeMond. Tra loro, anche Fabio Aru – vincitore della Vuelta a España nel 2015 (l'ultimo italiano a trionfare in questa gara) – che ha condiviso la sua storia sul palco accanto a Joe Dombrowski.

Dopo il talk, lo raggiungo nella zona VIP. Seduti su un comodo divano grigio chiaro, inizia la nostra chiacchierata. È un dialogo che mette in luce la dimensione umana del campione sardo, capace di parlare con semplicità anche delle sfide più difficili incontrate lungo la strada.

Qual è la tua idea di felicità?

“La felicità, per me, è innanzitutto stare bene in salute. Al primo posto c'è la famiglia: Valentina, mia moglie, e le nostre due figlie, Ginevra e Ludovica. Passare del tempo a casa con loro e fare ciò che mi piace è fondamentale. Non si può essere felici tutti i giorni dell’anno, ma credo sia importante cercare di mantenere un atteggiamento positivo il più possibile. A volte, la fortuna gioca un ruolo: ti conduce verso situazioni che ti permettono di sentirti ancora più soddisfatto. Penso che molto dipenda dal nostro modo di affrontare le cose.”.

Come descrivi il "nuovo" Fabio Aru da quando hai smesso di gareggiare?

“Continuo a lavorare, è importante avere obiettivi professionali, soprattutto a 34 anni. Sono ambassador di diversi brand, partecipo a numerosi eventi e porto avanti la mia academy. Inoltre, gestisco i miei progetti imprenditoriali. Rimango molto attivo su tutti questi fronti, ma la grande differenza rispetto al passato è che passo più tempo a casa: prima trascorrevo circa 250 giorni all’anno in hotel”.

Cosa consigli ai ragazzi che iniziano ad andare in bicicletta nella Fabio Aru Academy?

“Credo sia fondamentale avere passione e sentire quel "fuoco" dentro di sé. I risultati che ho ottenuto nella mia carriera derivano in parte dal talento, ma soprattutto da una grandissima passione. È l’impegno, quella spinta interiore e la determinazione a raggiungere certi traguardi che fanno davvero la differenza. Ai ragazzi consiglio di coltivare la voglia di arrivare e di accettare i sacrifici necessari. Lo sport, come la vita e qualsiasi lavoro, richiede dedizione, perché nulla arriva per caso: bisogna costruirselo. Se unisci bravura, passione e sacrificio, puoi raggiungere dei risultati”.

Cosa ti ha lasciato il ciclismo come esperienza di vita?

“Mi ha insegnato che bisogna darsi da fare, senza mezzi termini. Il ciclismo è uno sport che non ti regala nulla e si basa molto sul lavoro di squadra. Il team ha un ruolo importantissimo, ma allo stesso tempo c'è una componente individuale fondamentale. Devi curare l'allenamento, entrare in forma, fare attenzione alla nutrizione e al riposo”.

Se non avessi fatto il ciclista, cosa ti sarebbe piaciuto fare?

“Mi sarebbe piaciuto fare il calciatore, ma purtroppo non avevo le gambe adatte per quel tipo di sport. A dire il vero, non ci ho mai pensato troppo seriamente. Ho iniziato a correre in bici quando avevo 14 anni e pratico sport da quando ne avevo cinque. Ho studiato e frequentato il liceo classico, un percorso importante per la mia formazione. Poi, non ho proseguito gli studi universitari per una questione di tempistiche: quando gareggi a certi livelli, il tempo per dedicarti ad altro è davvero poco. Ci sono atleti che ci riescono, ma sono pochissimi”.

Cosa preferisci fare nel tempo libero?

“Amo trascorrere del tempo al mare: sono sardo, un isolano, e il mare mi fa sentire bene. Mi piace anche fare sport lungo la costa. Vorrei provare il kitesurf, ma per ora non ho avuto il tempo, perché mi dedico già ad altre attività: vado in palestra, pedalo, corro a piedi ogni tanto e viaggio molto per lavoro con i vari brand. Prima o poi troverò l’occasione per cimentarmi anche nel kitesurf”.

Cosa manca nella tua lista dei desideri?

“Uno dei miei sogni è vedere un giovane atleta sardo emergere e arrivare ai vertici. È anche per questo che ho creato la mia Academy: per aiutare i ragazzi a crescere e realizzare questo obiettivo”.

Per continuare a leggere l'intervista di Fulvia Camisa, pubblicata sul n. 23 di Rouleur Italia, abbonati qui

Autore: Fulvia Camisa Immagini: Alessandra Bucci

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