A meno di 500 metri dall'arrivo della sesta tappa del Giro d’Italia 2023, l’andatura del gruppo si fa irresistibile. Da dietro, arrivano. La velocità è massima, non è facile tenere alto il ritmo per i due fuggitivi in testa alla gara, il nostro Alessandro De Marchi e il 36enne australiano Simon Clarke. Hanno nelle gambe oltre 150 chilometri di fuga, che si sentono tutti. Vorrebbero giocarsi la vittoria in volata. Erano partiti in due compagni d’avventura per poi ritrovarsi in cinque, e poi infine ancora in due a giocarsi tutto nei 39 chilometri finali. La speranza era quella di giocarsela in un volata a due. Mancavano trecento metri al traguardo. Soltanto trecento metri. Non è andata bene, purtroppo
Professionista dal 2009, Simon Clarke è un corridore tattico che va spesso in fuga, lo abbiamo intervistato per Rouleur qualche mese fa. Non usa un misuratore di potenza e non visualizza la frequenza cardiaca sullo schermo del suo ciclo computer quando è in gara, non ritiene che questi dati in corsa possano essergli utili. “Quando sei in fuga il ritmo di corsa è dettato dai corridori che inseguono”, spiega. “Per andare via devi pedalare a tutta ed essere più veloce di quelli che inseguono. E poi alla fine devi inventarti qualcosa, se sei tra quelli rimasti e vuoi provare a vincere”.
L’ultima vittoria in un grande giro di Simon Clarke risale all’anno scorso al Tour de France, nella quinta tappa, dopo 126 chilometri di fuga. Stesso schema della giornata di ieri. Clarke però, sa che i piani ben studiati non sempre funzionano alla perfezione. “È dura quando perdi una corsa così”, ha detto dopo il traguardo quasi in lacrime. “Lavori così tanto durante l’anno e speri così intensamente ad una vittoria che quando finalmente ci sei, sei lì a pochi metri dal traguardo, poi se non ce la fai a vincere è davvero difficile da digerire”.
Per tutta la giornata Clarke aveva eseguito con cura il suo piano, fino a restare solo con De Marchi. Quei pochissimi secondi persi a studiarsi sul rettilineo finale, purtroppo, sono stati fatali. "Capisco benissimo De Marchi e non ho niente da recriminare: mi ha dato tutti i cambi che mi doveva dare. Le gare in bicicletta si vincono affrontando la corsa con una mentalità vincente e correndo qualche rischio, ed è quello che abbiamo fatto noi”, ha spiegato Clark. “Se ci si concentra su una sequenza di azioni vincenti, si ha la possibilità di vincere. Ho imparato a pensare alle gare come a un processo di programmazione e di pianificazione", racconta “ma ovviamente io non sono l’unico a fare dei piani”.
Ieri era un giorno speciale anche per Napoli. Dopo l’ubriacatura di gioia dello Scudetto, con la città ancora in festa, il Giro d’Italia ha portato in strada una quantità
di gente impressionate. La Napoli-Napoli, con un passaggio da Amalfi che vista in televisione dall’elicottero era di una bellezza mozzafiato, era la tappa più breve di tutto il Giro 2023. Curiosamente, è anche stata quella che finora ha regalato le maggiori emozioni. Certo, non ditelo a Clarke e a De Marchi che vedere il testa a testa tra gruppo e fuggitivi è stato entusiasmante. Tutti ieri (a parte quelli della Trek-Segafredo, la squadra del vincitore di tappa Mads Pedersen) hanno fatto il tifo per i fuggitivi, meritavano la vittoria. Ma la meritava anche Pedersen che a modo suo nelle interviste post-corsa ha mostrato empatia per i due fuggitivi braccati. “Mi scuso con loro e anche con quelli che hanno avuto un problema dietro e che non abbiamo aspettato, ma anche noi oggi avevamo voglia di vincere e abbiamo fatto di tutto per riprendere la fuga prima del traguardo”.
Clarke ha iniziato a praticare il ciclismo nel 1997 partecipando con una mountain bike a un viaggio cicloturistico di più giorni in Australia, la Great Victorian Bike Ride. Si tratta di un evento sportivo che porta ogni anno più di 3000 giovani studenti australiani a incontrarsi, pedalare, campeggiare e fare festa insieme lungo un percorso da compiere in una settimana. Nel 1998 ricevette dal padre una bicicletta da corsa in regalo e iniziò ad allenarsi sulle colline nei dintorni di Melbourne. I suoi genitori non erano appassionati di ciclismo su strada o di gare di ciclismo ma Simon, ispirato nel vedere la corsa delle Olimpiadi del 2000 a Sydney, decise che quella era la sua strada. Vide Lance Armstrong lottare contro Jan Ullrich in TV e all'età di 16 anni si trasferì in Europa per cercare di diventare un ciclista professionista.
“Ho vissuto e corso in Europa per sei anni, prima di riuscire ad ottenere un contratto da professionista. Non sono stato di certo un talento sbocciato presto", ammette tranquillamente. Alla fine della stagione 2021 era rimasto senza squadra e a primavera del 2022 non aveva ancora un contratto, ma non si è mai dato per vinto. Poi è arrivata la Israel-Premier Tech ed eccolo qui, al suo secondo anno con la squadra. Tenere duro con l'allenamento invernale senza essere certo di poter correre ancora da professionista non era stato facile quell’anno, ma alla fine la tenacia aveva pagato.
“Nel corso degli anni ho continuato a migliorare. Onestamente, nemmeno io mi sarei mai aspettato questa progressione, dopo 14 anni da professionista i miei parametri continuano a migliorare. Ci tengo a dirlo a tutti i ragazzi che smettono presto perché pensano di non avere i numeri: non abbiate fretta”.
Simon Clarke sa che esiste una relazione tra preparazione e fortuna. Da specialista delle fughe dice che la fortuna devi creartela da solo e metterti in una posizione che ti consenta di fare azioni che possono portarti alla vittoria. “Mentre i grandi attacchi che cambiano le tappe possono essere pianificati in anticipo, la maggior parte delle vittorie arrivano per capacità dei corridori o dei direttori sportivi di improvvisare. In questo senso il ciclismo è uno sport di intelligenza”.
Il ciclismo sono lunghe ore in bicicletta da solo, infortuni, ossa rotte, cicatrici degli interventi di ricostruzione, mesi trascorsi lontano dalla famiglia e dagli amici d'infanzia, trentacinque o quarantamila chilometri all’anno in sella a una bicicletta con qualsiasi condizione atmosferica. E tutto questo per vincere le corse non basta. A volte ti mancano ancora 300 maledettissimi metri.
Immagine di copertina: Swpix